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Un bassorilievo riscaldato?

Fonte:
CulturaCattolica.it ©

Ho deciso di dedicare qualche osservazione all’ipotesi centrale e dominante del testo di Papini. L’immagine sarebbe una strinatura del tessuto (insomma una bruciatura).
Papini sta citando un libro scandalo uscito in America (poi tradotto anche in italiano: STEVENSON - HABERMAS, Verdetto sulla Sindone, Queriniana, Brescia, 1982) da qualcuno del gruppo di coloro che nel 1978 avevano fatto ricerche sulla Sindone (il famoso progetto S.T.U.R.P.) prima della comunicazione ufficiale dei risultati e i molti articoli apparsi pro e contro le indiscrezioni pubblicate, e afferma:
“Da questi articoli emerge un dato molto importante: la scoperta della strinatura del tessuto prodotta da lenta irradiazione di calore è stata confermata da una serie impressionante di analisi diverse che hanno dato tutte un risultato convergente:
- S.F. Pellicori, con l’esame spettrofotometrico, ha accertato che il colore superficiale della fibra di lino è dovuto a disidratazione / ossidazione / coniugazione multipla, che sono l’effetto tipico della strinatura da calore;
- J.H. Heller e A.D. Adler, con la loro analisi microchimica delle fibrille, sono giunti alla stessa conclusione;
- R. Gilbert e M.M. Gilbert della Oriel Corporation hanno raccolto i dati spettrometrici nel campo della radiazione ultravioletta; J.S. Accetta e J. S. Baumgart dell’Aviazione U.S.A. hanno effettuato esami nel campo dei raggi infrarossi. Tutti hanno notato una somiglianza, dal punto di vista spettrale, tra l’immagine corporea e le bruciature dell’incendio di Chambéry. La lieve differenza è stata spiegata con la scarsità di ossigeno che si trovava dentro la custodia della «reliquia» a Chambéry;
- R. Rogers e E. J. Jumper hanno compiuto altre analisi nello spettro della fluorescenza ai raggi X e ultravioletti. Essi concludono: l’immagine del corpo della Sindone «è talmente simile per la sua reazione integrata a quella della bruciatura, che diventa inevitabile la conclusione: “l’immagine del corpo è chimicamente simile ad una bruciatura’’». (R. ROGERS - E. JUMPER, Summary Overview and Near Term Direction of Research, 14 ottobre 1979, p. 8, cit. da STEVENSON - HABERMAS, Verdetto sulla Sindone, cit., p. 165.)
Tutte le altre caratteristiche dell’immagine sindonica corrispondono perfettamente alle proprietà di una bruciatura: superficialità, stabilità termica e all’acqua, colorazione, assenza di placche e di punti di saturazione ecc.
Da questo risultato, oggi, non si può più prescindere. È un dato scientificamente assodato, certo. Uno scienziato serio deve tenerne conto (22).”
Mi colpisce molto che non ci sia rimando ad articoli e riviste specializzati, anche quando cita nomi e cognomi. Per esempio cita gli stessi autori (J.H. Heller e A.D. Adler) che abbiamo visto citare anche da Maria Grazia Siliato: l’Autrice cita l’articolo e la rivista, Papini no. Dove trovare riscontro all’affermazione che la strinatura “è un dato scientificamente assodato, certo”? L’unica citazione di Papini è di “seconda mano” perché presa da una nota del libro “scandalo” uscito in America.
Contro la tesi dell’immagine-bruciatura leggiamo una precisa pagina sempre della Siliato:
“L’esplorazione microscopica portò a scoprire una differenza sostanziale tra le strutture dell’Impronta e le bruciature di quell’antico incendio, in quella notte d’inverno a Chambéry. Le strinature del calore infatti, anche dove erano così lievi che la loro tinta in qualche modo somigliava a quella dell’Impronta, penetravano nel tessuto irregolarmente, e profondamente dentro i fili, li attraversavano, scendevano negli avvallamenti tra un filo e l’altro, e nelle porzioni di fili che, secondo la cadenza della tessitura, passavano sotto gli altri. Le bruniture più profonde, poi, attraversavano il corpo del tessuto a tutto spessore. I loro confini erano diffusi e graduali, come è logico per una bruciatura. La loro struttura, la loro meccanica erano totalmente diverse dall’impronta sindonica.
Ulteriori sperimentazioni di laboratorio confermarono che nessun mezzo meccanico di diffusione di calore poteva pervenire a realizzare un’impronta con caratteristiche uguali a quelle della Sindone, non solo visivamente, ma anche nella loro più interna organizzazione fisico-chimica. Nessun uomo, per quanto artista, aveva creato la Sindone (23).”
Più avanti, dopo aver raccontato dell’analisi delle macchie (non dell’immagine) e della scoperta che si trattava di sangue aggiunge:
“La lunga indagine riservò ancora una sorpresa: quando John Heller rimosse le crosticine di sangue che coprivano le fibrille di lino, scoprì che, in quei punti, il lino «non» era decomposto, ma ben conservato, come nelle zone «senza» Impronta del corpo. E nemmeno sotto gli aloni di siero le fibrille mostravano segni di decomposizione accelerata. Si scoprì dunque che, dove il sangue si era decalcato sul tessuto, lì aveva impedito che il lino arrivasse a contatto con la pelle; lì aveva protetto e «sigillato» le fibre contro il processo chimico che doveva avvenire sulle fibre vicine e che avrebbe formato l’Impronta.
Il sangue era arrivato sul lino prima che incominciasse a formarsi l’Impronta. Questa scoperta avrebbe pesato molto sugli studi futuri. Per un medico legale, significava intanto una certezza: il corpo era venuto a contatto con il lino, senza che nulla, né aromi né altro, vi fosse versato o sparso sopra, senza che nessuno lo toccasse oltre il necessario per la sepoltura rituale. (ROBERT BUCKLIN, M.D.J.D., The Shroud of Turin: a Pathologist’s viewpoint, in Legal Medicine Annual, 1981).
Il corpo aveva riposato nel lino con tutte le intatte ferite della sua terribile morte.
Inoltre la scoperta significava ancora un’altra cosa: era anche meccanicamente, chimicamente, cronologicamente insostenibile la già nota tesi dell’Impronta ottenuta a mezzo di una bruciatura o strinatura del tessuto con un bassorilievo o una statua di metallo caldo. Vista la struttura dell’Impronta sindonica, un falsario, infatti, avrebbe dovuto «prima» disegnare con rigorosissima anatomia tutti i segni di sangue, localizzare le sorgenti delle emorragie, dei traumatismi, il solco delle arterie e delle vene, con una spietata millimetrica precisione, pari solo a quella di un atlante anatomico, nell’intera figura anteriore del corpo e in quella posteriore. Avrebbe dovuto possedere conoscenze di fisiologia e anatomia che sarebbero entrate nella nostra cultura solo dopo molti secoli. Sopra questo complesso reticolo di sangue avrebbe dovuto «poi» imprimere l’impronta di un corpo, anche questa totale, anteriore e posteriore. Ma, allora, mentre strinava il tessuto col bassorilievo rovente, avrebbe inevitabilmente cotto anche il sangue che si trovava sul tessuto. Ora il sangue presente sulla Sindone non è né cotto né strinato; e ciò si può constatare facilmente «in situ», perché esistono brevi zone di sangue che sono state invece cotte e strinate dall’incendio di Chambéry. L’Impronta sindonica, per usare le parole di Sam Pellicori, è davvero troppo «subtle» per tentativi di spiegazioni «heavy handed» come la statua o il bassorilievo riscaldato (24).”
Il testo della Siliato (che è del 1989) si riferisce nell’ultima parte non solo alla inconsistenza dell’ipotesi che l’immagine sia una strinatura, ma anche ad un esperimento che l’antropologo Vittorio Delfino Pesce aveva fatto nella trasmissione televisiva su Rai 2 «Giallo» del 30 ottobre 1987 diretta da Enzo Tortora, nella quale il Pesce aveva ottenuto un’immagine paragonabile a quella sindonica utilizzando un bassorilievo di bronzo riscaldato. Il dott. Sebastiano Rodante nel suo libro La scienza convalida la Sindone, (Massimo, Milano, 1994) racconta che una copia di tale pseudo-sindone donata dal Pesce (25) ad un suo collega (il dott. M. Moroni) aveva visto svanire nel tempo l’immagine. Insomma la strinatura superficiale fatta con bassorilievo riscaldato svanisce negli anni.
Mi sono attardato perché il centro del libro di Papini è proprio la riproposizione della tesi di Delfino Pesce. La copertina stessa riproduce la “sindone” di Pesce e il libro sostiene che la Sindone non solo è un falso fatto a Costantinopoli ma che non c’è alcun mistero nell’immagine tanto che si riesce a riprodurla.
Il tutto andrebbe verificato con le stesse analisi fatte sull’immagine sindonica, viceversa come si può credere guardando una foto?
La questione è aperta, anche se le sottolineature della Siliato scoraggiano da una simile ricerca.
Ma perché si parla di Costantinopoli?
Proseguiamo con i tasselli del mosaico.

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