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Lo pseudo-sinodo di Leopoli

La testimonianza dei greco cattolici ucraini - 1946-2006
Anton Sivickij, storico
Portal Credo, 17 marzo 2006
Tradotto dal russo, con qualche omissione.

Nel sessantesimo anniversario del Sinodo di Leopoli, cattolici e ortodossi lo ricordano con interpretazioni diverse, spesso contrastanti.
Nel marzo del 1946 venne celebrato lo pseudosinodo che aveva come compito quello di liquidare la Chiesa greco-cattolica ucraina. La mancanza di legalità appare più che evidente. Gli organi della sicurezza dello stato sovietico lo avevano organizzato e vi avevano assicurato con metodi ‘persuasivi’ anche la presenza di una parte del clero. All’apertura del sinodo nessuno dei dirigenti ecclesiastici apparteneva alla Chiesa cattolica, mentre tutto l’episcopato greco cattolico già da un anno era stato arrestato dall’NKVD. Nonostante queste e simili coercizioni, la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca continua fino ad oggi a considerare canoniche le decisioni del sinodo, benché gli stessi animatori della soppressione dell’Unione di Brest (1596, anno in cui fu sottoscritta l’Unione con Roma) alla conclusione dello pseudo sinodo di Leopoli, riconobbero che senza il fraterno aiuto della polizia segreta non sarebbero riusciti a convertire all’ortodossia nemmeno uno decina di sacerdoti greco cattolici. Oggi la Chiesa ortodossa russa frequentemente condanna le azioni terroristiche dei cechisti, eppure i dati forniti dagli archivi della stessa polizia, confermano che la Chiesa ortodossa russa prese parte attiva alla liquidazione violenta della Chiesa greco cattolica ucraina (cfr di Bogdan Bejurkiv ‘La Chiesa greco cattolica e il regime’ 1939 – 1950, Leopoli 2005). La questione è che nessun lavoro scientifico e neppure i documenti segreti resi pubblici, inducono il patriarcato di Mosca a riconoscere la verità. Purtroppo non è l’unico tema storico che spiace al Patriarcato di Mosca.
Io però vorrei riservare la mia attenzione a qualche cosa di diverso, ma legato a questo pseudo sinodo. Una delle dimostrazioni del carattere violento della soppressione dell’Unia è che la Chiesa greco cattolica ucraina non si è sottomessa al regime stalinista che la voleva far passare all’ortodossia. Una gran parte del clero e tutto il monachesimo greco cattolico passò nella clandestinità, nella vita ‘catacombale’. A questo passo era gi preparata. Già nel 1939, dal primo arrivo dei bolscevichi nell’Ucraina occidentale, il metropolita Sheptickij, capo della Chiesa greco cattolica ucraina, aveva previsto l’inizio della repressione. In seguito nella sua lettera a Roma espresse la sua disponibilità a morire per la Chiesa; e poco prima di morire,nel 1944 predisse tempi difficili per la Chiesa. Così la maggioranza dei fedeli e del clero erano pronti ad affrontare la possibilità di ‘entrare nelle catacombe’.
Come ricorda il vescovo Sofron Dmiterko della Chiesa greco cattolica, consacrato clandestinamente: “Essi sapevano che soffrivano per la vera fede, e che non era ammesso rinnegare la fede, e ricordavano le parole di Cristo: “Chi mi rinnegherà sarà rinnegato dal Padre mio”. “Io non avevo paura, ero pronto a tutto – ricorda padre Michail Terlichko – sapevo verso quale meta mi incamminavo. Fin da quando ero giovane ragazzo desideravo morire per Cristo, per la nostra Chiesa, per il nostro popolo”.
La maggior parte dei sacerdoti veniva incriminata di attività antisovietica. Ma essi avrebbero potuto evitare la deportazione, la prigione, la persecuzione se fossero passati all’ortodossia. Il sacerdote redentorista Volosjanko ci dice che a sottrarlo a questa tentazione era stato il pensiero di non passare per traditore. Padre Ivan Kubaj ricorda molto bene come volevano eliminarlo; gli minacciavano 25 anni di confino se, assieme a tutta la sua parrocchia, non fosse passato all’ortodossia. Al vescovo Pavel Vacylko il giudice istruttore aveva detto: “Il nostro paese è umanitario, troppo umanitario. Avremmo dovuto impiccare lei, la impiccheremo”.
La maggior parte dei sacerdoti non sfuggirono alla repressione. I parenti di padre Stefano Kolomijc lo avevano avvertito di non andare in chiesa perché lo avrebbero potuto arrestare (non aveva sottoscritto il passaggio dalla Chiesa cattolica alla Chiesa ortodossa). “Sia fatta la volontà di Dio- aveva risposto – se vorranno arrestarmi mi arresteranno. Se morirò per la fede, anche se non potrò fare grandi cose, morirò per la giusta causa.
Sulla strada verso il confino, nelle prigioni come nei lager, sacerdoti e monaci erano oggetto di ammirazione da parte degli altri detenuti, per la loro umiltà e serenità di spirito. Padre Nikolaj Kuc’ racconta di un sacerdote suo amico, padre Poljanskij, di come celebrava la Divina Liturgia nel vagone che lo trasportava al confino. I detenuti che erano con lui gli chiedevano: “Come fa lei ad essere tanto tranquillo? Abbiamo lasciato i nostri cari, non sappiamo neppure dove ci condurranno, che sarà di noi?”. Egli rispondeva: “E’ Dio che dispone. Egli sa dove andremo a finire. Se confidiamo in Dio, tutto andrà bene”.
Leggendo le varie testimonianze dei sacerdoti di diversa età, arrivi alla conclusione che essi erano convinti che Dio non avrebbe permesso prove superiori alle loro forze, sia al confino che in prigione. La Divina Liturgia nei lager era celebrata con particolare devozione. Padre Michail Govoleckij racconta che quanto nei lager il controllo si era fatto più benevolo, egli era in grado di poter celebrare la Divina Liturgia. Le guardie sapevano di non avere il diritto di impedirla purché si svolgesse al di fuori dell’orario di lavoro. Ma questo non avveniva frequentemente. Normalmente i detenuti potevano pregare insieme soltanto segretamente, al mattino quando le guardie dormivano. Ad assistere venivano sia i cattolici che gli ortodossi.
Nelle grandi feste si celebravano le funzioni religiose con maggior accuratezza. Padre Ivan Lelekach ricorda che, per l’occasione della Pasqua del 1948, i ragazzi di età scolastica erano riusciti a fare delle candele usando il pane comune mescolato a grasso per le macchine. Quando risuonò il canto “Cristo è risorto!” tutti piangevano. La guardia del carcere quando si rese conto che si trattava del canto pasquale, aprì le guardiole di tutte le celle, invitò a cantare più forte e tutta la prigione grazie alla inspiegabile sintonia fra guardie e detenuti, risuonò del canto vittorioso di Pasqua.
Nei lager le celebrazioni festive e gli incontri favorivano il consolidarsi delle comunità clandestine cristiane. Padre Ivan Chav’jak racconta che alla vigilia di una delle 12 grandi feste liturgiche, nella baracca si trovavano 8 sacerdoti. Non c’era da mangiare, ma l’atmosfera era serena. In serata era intervenuto un giovane rivoluzionario: “Siamo qui riuniti assieme ai sacerdoti. Tutti abbiamo seguito la via indicataci dalla nostra Chiesa. Anche per il futuro vi preghiamo di essere le nostre guide” Rispondendo un sacerdote disse: “In patria eravamo uniti con il nostro popolo. Ora siamo nel lager, ma non possiamo dimenticare il nostro popolo. Continueremo a operare e pregare Dio che ci conceda pazienza, audacia e forza. Dio abbia misericordia di noi e ci conceda un giorno di poter ritornare alle proprie famiglie, alla propria terra, alla propria casa”.
Come mai né gli agenti della sicurezza dello stato, né i nostri fratelli ortodossi non hanno saputo comprendere che la gente della Galizia era pronta a soffrire per la propria Chiesa? I greco cattolici erano disposti a soffrire per la Chiesa greco cattolica per il semplice fatto che essa era la loro Chiesa; essa li aveva unti durante i molti secoli di schiavitù ed ancora essa è stata alla testa della rinascita spirituale. Un’altra Chiesa avrebbe potuto accogliere un congresso di centomila giovani, senza alcun mezzo economico, soltanto invitando la gioventù a raccogliersi per rinnovare il loro giuramento di fedeltà a Cristo? E’ una cosa straordinaria, eppure il metropolita Andrej Sheptickij, pur malato e in carrozzella, fu in grado di svolgere un tale congresso nel 1933. Né il potere sovietico, né la Chiesa ortodossa russa potevano comprendere come mai nel 1980 fossero apparsi in Galizia tanti greco cattolici, loro che pensavano che la Chiesa greco cattolica fosse scomparsa per sempre nel 1946. Occorre anche tener presente che abbastanza numerosi erano i greco cattolici passati formalmente all’ortodossia, ma erano rimasti fedeli alle antiche tradizioni liturgiche e quando celebravano clandestinamente la Divina Liturgia non commemoravano il Patriarca di Mosca, ma il Papa di Roma. Persino Mosca chiudeva un occhio sulle peculiarità del rito greco cattolico delle parrocchie ad essa fedeli nelle regioni della Ucraina occidentale, se non altro perché queste parrocchie costituivano la metà del numero complessivo di tutte le parrocchie della Chiesa ortodossa russa e raccoglievano più della metà dei fedeli che riconoscevano il Patriarcato di Mosca. Vale la pena riconoscere le proprie sconfitte. Ma la maggiore sconfitta la subì il potere sovietico e la Chiesa ortodossa patriarcato di Mosca negli anni 1945 – 1946. Tentarono di liquidare la Chiesa greco cattolica, ma non fecero altro che consolidarla nella sua unità e donare ad essa nuovi martiri per la fede. Il sangue dei martiri, lo sappiamo, fa rinascere la Chiesa.