Russia: Vita dell’arcivescovo-chirurgo Luka (Vojno-Jaseneskij)
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Vojno Jaseneskij Valentin Feliksovich (Luka) è nato a Kerch nel 1877 ed è morto 11 giugno 1961 a Simferopol. Chirurgo, primario nell’ospedale di Tashkent, professore universitario. All’inizio degli anni ‘20 si fa monaco e prende il nome di Luka. Dopo breve tempo è consacrato vescovo. Più volte arrestato e condannato. Autore di 55 testi di chirurgia e anatomia assieme a dieci tomi di prediche. Il suo libro più famoso ‘Chirurgia purulenta’ ebbe tre edizioni (1934, 1946, 1956).
Il chirurgo – vescovo Luka visse più di 40 anni sotto il regime sovietico; alcune generazioni di chirurgi si formarono sui suoi testi. Tenne lezioni agli universitari, intervenne in molti convegni scientifici e predicò in diverse chiese. Lo conoscevano bene i feriti in guerra e i deportati nelle regioni di Archangel’sk e Kranojarsk. Nello stesso tempo questo personaggio, ben noto nei nostri tempi, ancora in vita, è stato oggetto di numerose leggende. Con più precisione si deve dire che la sua stessa vita è stata trasformata in un mito. Perché?
La cosa più semplice è pensare che il professore – vescovo riuniva nelle proprie mani la croce e il bisturi ed impressionava i suoi contemporanei per questa insolita combinazione di due sfere di attività contrapposte. Per molti anni la propaganda aveva convinto i nostri concittadini che scienza e fede sono incompatibili; anzi di più, che queste due sfere di pensiero possono esistere soltanto combattendo fra di loro una lotta incessante e senza quartiere. Ed ecco un vescovo professore universitario. Non è possibile, ma è un fatto. Dove non esiste una libera informazione veritiera, nascono i miti. Le masse dei fedeli crearono con contorni mistici il mito del vescovo che curava in nome di Dio. I medici invece diffusero l’immagine leggendaria del medico stupido che iniziava le operazioni pregando. Se da una parte meravigliava l’immagine di un chirurgo in veste talare, dall’altra meravigliava ancora maggiormente l’inflessibile chirurgico carattere del vescovo. La Chiesa ortodossa russa, per secoli indotta dal potere al conformismo e al compromesso aveva elaborato un tipo di operatore ecclesiastico evasivo, diplomatico, ben lontano dal dichiarare espressamente le proprie convinzioni. Ed inaspettatamente un vescovo dal carattere dell’arciprete Avvakum (sacerdote vecchio-credente rimasto famoso nella letteratura russa per la sua autobiografica che denota un carattere intransigente), un tribuno che apertamente portava la croce quando gli altri, per timore, nascondevano le onorificenze ecclesiastiche, sacerdote di Dio che poneva il giudizio divino superiore a qualsiasi altro principato. Una leggenda: Sì, una leggenda! Tutto quello che di bocca in bocca si trasmetteva, e si trasmette tutt’oggi, di Vojno-Jaseneckij, non è mai stato un pettegolezzo, un pettegolezzo sleale e piccino. Il pettegolezzo deturpa la verità a scopo di un tornaconto. La creazione di un mito, al contrario, tende all’apologia. Sebbene il ministro e il vice ministro della salute pubblica giudicassero diversamente dai contadini credenti; e i feriti di guerre che giacevano negli ospedali non ritenessero il vescovo chirurgo un delinquente, tutti i creatori delle leggenda presentavano una personalità eroica ed affascinante.
Nell’estate del 1957 mi recai a Simferopol per intrattenermi con l’arcivescovo Luka. In quell’anno veniva pubblicato il mio primo libro sugli scienziati della medicina. Come letterato mi interessavano non tanto i risultati delle ricerche scientifiche dei miei eroi, quanto la situazione morale e i conflitti che nascono nella vita del medico scienziato. Il professor Vojno-Jaseneckij mi sembrava l’eroe più adatto per il mio prossimo libro nel quale mi accingevo di ritornare nuovamente agli aspetti morali della creatività scientifica. Tutto questo io lo esposi al segretario della cancelleria diocesana a Simferopol. Il vecchio segretario ascoltava senza entusiasmo le richieste laiche, ciononostante alla fine mi spiegò che il vescovo era in riposo nelle vicinanze di Alushta e mi indicò come avrei potuto raggiungere la località e mi ammonì che non era opportuno chiamare l’arcivescovo con il nome ed il patronimico, e aggiunse che il l’arcivescovo era ammalato, vecchio, occupato e di conseguenza la mia conversazione con lui doveva essere breve.
Sono passati quindici anni da quel incontro, ma ne ricordo esattamente l’impressione avuta. Quell’uomo molto vecchio non mi destò né commiserazione, né compassione, ma una grande meraviglia unita ad un profondo rispetto. Nonostante gli stagionati vestiti della vecchiaia si intravedeva in lui una natura ed una personalità distinte.
Sedemmo su panche di legno attorno ad un tavolo del giardino. Mi presentai. Trattenendo l’agitazione spiegai le cause della mia visita: avrei desiderato raccontare della vita del professore.
“Non le sarà permesso di includere il racconto della mia vita nel suo libro”, mi disse l’arcivescovo. La sua voce risuonava debole, vecchia, ma espressiva.
“E’ possibile che riesca a pubblicare il saggio nella voluminosa rivista letteraria ‘Novyj Mir’, mi hanno già proposto…” replicai.
“Neppure questo permetteranno di farlo”. Nelle sue parole non vi era nessun tono di irritazione o di offesa. Il vescovo Luka con semplicità prendeva atto di qualche cosa che da tempo gli era ben nota. E allora mi venne in mente un pensiero che, nella mia giovinezza, reputai molto geniale: racconterò del vescovo scienziato su una delle numerose riviste che l’Unione Sovietica stampava per l’estero. Nelle redazioni di queste riviste in quel tempo io ero bene accolto. “certamente, rispose il vescovo con la sua voce chiara e decisa, accetteranno molto volentieri che si racconti di me all’estero. In questo modo lei potrà confermare che nel nostro paese esiste realmente la libertà di coscienza.” Un leggero movimento delle labbra sotto i baffi grigi, dimostrò che l’ottantenne vescovo non aveva perso il senso dell’umorismo.
Vojno-Jaseneckij aveva ragione: tutti i miei tentativi di pubblicare la sua biografia sulle riviste del paese incontrarono una barriera insormontabile. Ciononostante, in quel giorno d’agosto, un uomo vecchio, ammalato, con tanti impegni, parlò a lungo con me della sua vita. Parlava con estrema semplicità, senza alcuna posa. Il discorso del professore scorreva libero, privo di circonvoluzioni clericali. Ad un certo momento però, dopo un racconto del tutto secolare giunsero al mio orecchio laico parole fuori uso: “Quando il Signore Dio mi portò nella città di Enisejsk...” Dal complesso del suo dire si poteva dedurre che a portarlo nella città di Enisejsk erano state le guardie del Commissariato del Popolo. Cercai di concentrare tutta la mia attenzione alle parole del vescovo, ma egli, senza particolare agitazione disse che i signori dalle mostrine azzurre non erano che strumenti che eseguivano le istruzioni della Suprema Volontà. Sulle sue labbra questa sentenza risuonava egualmente naturale come il racconto delle sue operazioni chirurgiche e delle lezioni tenute all’università. Dopo il primo episodio mistico, seguiva il secondo, poi il terzo. L’arcivescovo non assumeva la posizione di mentore, non cercava di convincermi. Dalla sua bocca gli episodi mistici non intendevano esaltare la sua persona ai miei occhi. Piuttosto il contrario: il divino, nei racconti dell’arcivescovo Luka, appariva soltanto per castigarlo oppure per premunirlo. Il divino, una volta espressa la sua inappellabile volontà, scompariva senza lascia traccia, fino al prossimo momento decisivo della biografia terrena del vescovo chirurgo.
Molte persone, in varie regioni del paese hanno fatto e fanno memoria del vescovo chirurgo. Forse nei miti e nelle leggende non tutto corrisponde ai fatti; certamente la biografia mitologica pecca di molte omissioni. Eppure la ‘mitografia’ di Vojno-Jaseneckij, rappresenta il suo ritratto integro, affascinante e perfino eroico. Questa è la vox populi, la voce del popolo che racconta la vita dell’arcivescovo chirurgo.
(Da ‘Antologia samizdata’ vol. III. Mosca 2005)