L’ingresso trionfale a Gerusalemme
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I bambini sono i protagonisti, secondo la tradizione, dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme.
Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo.E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l’asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano:
Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! (Mc11, 1-10).
Il Vangelo di Marco, come si vede, tace sull’identità di coloro che esultavano, ma la tradizione, sulla base del Vangelo di Matteo (21,15-16) li identifica con i fanciulli ebrei.
Duccio, fedele alla tradizione, ci riporta la scena. Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti s’innalza la lode a questo re Messia che viene, come canta il profeta, sul dorso di un asino, cavalcatura dei re nei tempi di pace: «Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlia d’asina» (Zc 9,9).
Il talmud Babilonese ci riporta un detto che commenta in modo straordinario l’episodio: «Sta scritto: ed ecco, con le nubi del cielo Uno come figlio d’uomo (Dn7,13). E sta scritto: umile e cavalcatore di un asino (Zc 9,9). Se essi (= Israele) hanno dei meriti, egli viene con le nubi del cielo; se non ne hanno, egli viene in umiltà e cavalca un asino» (Talmud Babilonese Sanhedrin 98a).
Per “vedere” questo re-Messia, per vedere il compimento delle scritture, occorre la conversione. Ritorna il simbolo del mantello che qui viene gettato sopra l’asino, per far sedere Gesù, e sulla strada per addolcire il passaggio della cavalcatura. Occorre gettare via il mantello delle nostre aspettative, sottomettere la nostra vita a Gesù e al suo cammino e, come il cieco di Gerico, lasciarsi illuminare da lui. Solo lui, infatti, ci fa vedere le Scritture e il loro segreto compimento. Solo chi lo guarda con lo sguardo puro dei bambini può davvero esultare.
Nel dipinto di Duccio (Figura 1) sono, ad esempio, soltanto i bambini quelli che veramente vanno incontro a Gesù. Qualcuno tra gli adulti sembra addirittura frenare l’impeto con cui i fanciulli vorrebbero correre incontro al Signore. Gli adulti della folla rimangono per lo più titubanti e in un atteggiamento di ambiguità che è già premessa di quanto avverrà nel giorno dell’arresto. Questi stessi volti, infatti, che solo apparentemente qui ora cantano l’Osanna, chiederanno a gran voce, tra non molti giorni, la crocifissione. Come si può vedere nel pannello della crocifissione.
Marco non pone però sulle labbra della folla osannante il titolo di figlio di Davide, parla più discretamente di Regno di Davide che viene. Questo indica, da un lato il permanere dello scandalo provocato dall’invocazione del cieco, tale da non volersi più ripetere, dall’altro il permanere nell’equivoco da parte della folla che si attendeva un regno sostitutivo a quello dell’usurpatore. Gesù, comunque, anche in questa occasione, non mette a tacere la folla: è l’ora della sua rivelazione. È possibile equivocare, è vero, ma il rischio va corso. I discepoli, tuttavia, devono poter capire. Sono loro ad aver procurato la cavalcatura al Maestro, loro hanno sciolto l’asino.
Il simbolo dell’asino legato compiva la profezia della tribù di Giuda, quella da cui doveva sorgere il Messia: Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto (Gen 49, 10-11).
Cristo è il re che laverà le vesti nel suo proprio sangue. A significare questo, Duccio colora di rosso il primo mantello che un fanciullo stende davanti al passaggio di Gesù. Dietro al Signore vediamo gli stessi tre discepoli presenti alla guarigione del cieco. Con il volto mesto essi indicano alla folla il loro Maestro. Gesù, dal canto suo, benedice la folla ma, mentre benedice, anche indica una direzione: occorre salire, non solo a Gerusalemme, ma sulla croce. La diagonale sulla quale è costruita la via dell’ingresso in Gerusalemme orienta, infatti, lo sguardo del fedele verso altri pannelli dell’ancona, (Figura 2) verso la crocifissione e le scene della risurrezione. In particolare la stessa diagonale è conservata nel monte che si staglia dietro l’angelo della Risurrezione e nella via che conduce alla locanda di Emmaus dove due discepoli riconosceranno il Crocifisso risorto allo spezzare del pane.
Il fatto del pane che i discepoli non avevano compreso, là si compirà in modo definitivo e pieno. Per comprenderlo però occorre superare lo scandalo della croce. Nella scena tripartita dell’ingresso trionfale dipinto da Duccio, alla parte centrale gremita di folla si contrappongono due settori colmi di solitudine. In basso vediamo una porta socchiusa: è quella che conduce all’orto degli ulivi e rimanda al luogo dell’agonia che questo tripudio di folla già adombra e nasconde. In alto la città di Siena, riconoscibile nell’edificio poligonale che riproduce il tiburio del Duomo senese. In basso viene significato lo spazio della libertà personale, dell’adesione silenziosa al mistero testimoniata da Cristo, un’adesione che anche le nostre coscienze addormentate devono seguire; in alto lo spazio della testimonianza pubblica: la città, che deve essere il riflesso di scelte personali maturate nella verità. Le scelte del discepolo che ha seguito il Maestro fino alle porte della città del sacrificio hanno da essere forti, tanto nel momento dell’Osanna che nel momento della solitudine e dell’angoscia.
Questo è il Figlio di Davide, questo è volto del Messia a cui Marco vuole abituare gli occhi del discepolo.