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Ortodossia light

Fonte:
Foma
Intervista di Alla Mitrofanova

Traduzione di Fabrizio Rossi

Da "Foma", n° 5 (28), 2005

Molti al giorno d’oggi cercano la fede. C’è però il rischio che, al posto dell’ortodossia viva e vera, essi accolgano una certa versione surrogata e semplificata, che potremmo definire (adoperando un termine del moderno slang) “ortodossia light”.
È possibile una tale forma di fede? Come adattare la religione con la vita contemporanea? E ne vale la pena? A questa ed altre domande risponde padre Maksim Kozlov, parroco della chiesa di S.Tatiana martire presso l’Università Statale di Mosca.

Padre Maksim, in un suo intervento lei ha parlato di “ortodossia di maniera”. In cosa consiste?
Per esempio, nel modo con cui i mass media descrivono le festività religiose celebrate dai nostri fedeli: si fa vedere un vescovo che benedice i fedeli, il coro che canta, le vecchiette con le candele in mano, ecc. Oppure la festa del Battesimo: si mostra come viene attinta l’acqua santa, dove essa è “effettivamente santa” e dove invece non lo è… Nella mentalità comune, la nostra cultura ortodossa viene ridotta a una serie di luoghi comuni, spesso banalizzati e non corrispondenti al vero: anche questo è un cliché.

Cristiano e…”: come garantirsi la tranquillità

Nella vita spesso succede, ad esempio, che ci sia un uomo d’affari di successo: fa un lavoro che gli piace, ha una moglie, dei figli, una casa, degli amici… ed è diventato credente. È arrivato alla Chiesa, e adesso vive anche l’ortodossia; è giunto a Dio, ha fatto costruire una chiesa… Se ne vive al sicuro, sa di salvarsi… Come bisogna considerare uno così?
Penso che il punto non sia quale lavoro uno fa, quanti figli ha, quante offerte lascia in chiesa…, ma: la fede è realmente qualcosa di importante per lui, tanto da essere pronto a non scendere a compromessi e a lavorare continuamente su di sé?

Cosa intende per compromessi?
Purtroppo oggi un individuo benestante il più delle volte frequenta ambienti, il cui modello di vita è ben distante da quello cristiano. Pur avendo una brava moglie e due o tre figli, talvolta ha anche una compagna, per esempio, che non gli dà figli ma rende la sua vita più piacevole. Chiaramente, un uomo d’affari ortodosso non può approvare una cosa simile; per rinunciarvi, però, occorre coraggio, perché sembrerà una mosca bianca. Anche stipulare un affare con dei partner può comportare incontri in luoghi non proprio edificanti…; serve coraggio, per dire: “Siamo in affari, ma non ho intenzione di andare con voi a divertirmi”.
Questa scelta s’impone abbastanza spesso: o rimanere ortodosso a danno dei propri affari, o rimanere uomo d’affari a danno della propria ortodossia. Nel primo modo, si compierà un ulteriore passo verso Cristo; se invece non si decide, qualche cupola dorata non cambierà le cose. Uno tiene, a dir poco, il piede in due scarpe.

Una volta un governatore di uno stato americano ha dichiarato, in quanto cristiano, d’essere contrario all’aborto, ma in quanto governatore, d’essere obbligato a rispettare il diritto delle donne a scegliere da sé la propria strada. È possibile un simile compromesso?
C.S. Lewis ne Le lettere di Berlicche ha definito tutto ciò “cristianesimo e” [1]. Quando il giovane diavolo del libro non riesce ad evitare che il protagonista si converta al cristianesimo, dal suo esperto zio riceve il consiglio di fare in modo che quell’uomo sia “cristiano e”: cristiano e personalità pubblica, cristiano e letterato, cristiano e giornalista… Allora il suo cristianesimo sarà innocuo, perché nella sua vita ce ne sarà tanto quanto le contingenze lo consentono. Ma questa via è inaccettabile. Il cristianesimo non può dipendere dall’orario (al mattino governatore, alla sera cristiano), bensì sottintende una concezione coerente del mondo, l’integrità della persona: ciò che la Chiesa chiama “sapienza integrale” [2]. È difficile, ma da nessuna parte è scritto che sia facile. Al giorno d’oggi è difficile per un cristiano occupare una posizione più o meno in vista; del resto la civiltà attuale è basata sui principi del consumismo. La società non accetta i valori cristiani: chiunque osi, in una posizione in vista, dichiararsi cristiano, rischia di rimanere isolato.

In che modo la civiltà consumistica può impedire ad una persona d’essere cristiana?
In una società fondata sul consumo, anche alla religione o al rapporto con Dio si guarda dal punto di vista del consumo: la Chiesa serve a fornire dei servizi religiosi, Dio serve a procurare un senso di comfort rispetto all’eternità. Anche lei sarà dell’opinione che ormai, al giorno d’oggi, è difficile trovare uno che non sappia che l’ortodossia implica la salvezza come sforzo; tutti sanno che bisogna andare in chiesa, pregare Dio, osservare i digiuni… insomma: non si può vivere del tutto come si vorrebbe. Tuttavia molti, battezzatisi negli anni ’80 e ’90, con questo gesto si sono messi a posto la coscienza e non esigono più niente da se stessi rispetto alla Chiesa. Una volta battezzato, vivi pure tranquillo fino al funerale: la questione col Cielo è risolta…
Secondo me il fatto che i popoli storicamente cristiani, formatisi grazie al cristianesimo e vissuti per secoli della speranza cristiana, ora siano estranei alla vita della Chiesa, è in buona parte dovuto alla vittoria della civiltà del consumismo. In tutto il mondo cristiano, non solo nel nostro Paese, una buona parte della popolazione oggi dichiara apertamente d’essere atea, o almeno assolutamente indifferente verso la religione: in pratica, Dio è lasciato fuori dei confini della propria vita. Ne deriva, quindi, anche la posizione del mondo contemporaneo nei confronti della religione, vista come affare privato, cui è possibile credere purché non s’imponga mai nulla a nessuno, e non s’affermi che la propria fede è vera. A questo proposito, alla fine degli anni ’20 Aleksej Losev ebbe il coraggio di dire che i valori della civiltà borghese e del cristianesimo sono contrastanti e incompatibili.
Basta sfogliare i giornali che si stampano in Russia o nei paesi europei, per comprendere quali problemi interessino oggi la società. Questo significa che dobbiamo guardare con realismo agli esiti del suo ritorno al cristianesimo: non penso che nei prossimi tempi ci saranno sbalorditivi mutamenti in meglio, o che si potrà parlare della Russia come di un Paese ortodosso, con a capo un uomo ortodosso, per la cui esistenza la fede sia determinante; non penso che oggi nella nostra società ci siano abbastanza persone pronte a tali mutamenti. È vero che l’80% della popolazione si dichiara ortodosso, ma all’interno di questa percentuale solo il 60% crede in Dio; se poi chiedessimo a queste persone se vanno in chiesa, se si confessano, se fanno la comunione, se pregano un po’anche solo al mattino e alla sera, avremmo allora la percentuale del 5-7%, cioè i fedeli che costituiscono il popolo della nostra Chiesa. Del resto, non è affatto poco.

Il lievito ortodosso della società

Cosa deve fare la Chiesa affinché questa percentuale cresca, e cosa è stato fatto male o non è stato fatto?
Ritengo che il compito della Chiesa non sia tanto portare tutti subito a Messa, ma fare in modo che questa minoranza diventi il lievito attraverso cui sia possibile cambiare la società. Quando nella storia sono avvenuti grandi mutamenti (conversioni al cristianesimo d’interi popoli e nazioni, ecc.), i cristiani stessi, che davano l’esempio, erano persone di alto livello spirituale: affinché ci fosse la svolta con Costantino e l’impero romano adottasse il cristianesimo come culto ufficiale, si resero necessari vescovi che avevano vissuto le persecuzioni di Diocleziano; affinché la Rus’ iniziasse a cambiare, doveva arrivare un uomo come il santo principe Vladimir, che dal peccato giungesse ad abbracciare Cristo in un modo paragonabile forse alla conversione di S.Maria Egiziaca. Infatti fu proprio il grande cambiamento del principe Vladimir che giunse a trasformare le persone attorno a lui!
Tutto ciò richiede da noi un enorme lavoro. Nel XX secolo in Russia ci sono stati così tanti nuovi martiri! Dalla famiglia reale, che subì la passione [3], fino ai confessori di epoca chruščeviana, è una serie ininterrotta. Possiamo forse dire che la nostra gente, visto tutto ciò, si sia ravveduta? No. Chi è abituato al consumismo, chi si lava il cervello con rotocalchi e telenovele, chi non si lascia scalfire dagli avvenimenti di Beslan (“L’importante è che non sia toccato a me!”), non si ravvedrà in nessun modo. Purtroppo, io affronto questo problema senza molto ottimismo.

Potevamo forse approfittare meglio in qualche modo della situazione creatasi nel 1988 e negli anni successivi? Forse sì; d’altra parte, però, come potevamo insegnare il catechismo alle migliaia di persone che, a partire dall’88, sono venute in chiesa per farsi battezzare? In tutta Mosca allora c’erano meno di 50 chiese, e in ognuna di queste tutte le domeniche venivano battezzate da 50 a 200 persone. Questa era la norma: sarebbe stato meglio rifiutare loro il battesimo? O dire che prima dovevano frequentare 6 mesi di corsi di catechismo, per poter poi essere battezzati? Non sarebbe stata una soluzione. Va anche detto che in quel periodo arrivarono in massa i seguaci di diverse sette, sulla cui attività non ci fu alcun controllo. In quegli anni un uomo con 30 dollari era un riccone, e con 3000 poteva permettersi assolutamente tutto: prendere in affitto stadi enormi, pubblicare in tirature pazzesche ciò che voleva…; i fondi di cui disponeva una piccola setta americana superavano a volte quelli dell’intera Chiesa ortodossa russa. Non potevamo cedere loro i fedeli che desideravano il battesimo!

Non ci sono uomini “troppo” credenti

Padre Maksim, se l’ortodossia non è una cosa né l’altra come facciamo a comprendere allora cos’è?
Come si fa a rispondere alla domanda: “Cos’è la vita?”. Cristo dice: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”; l’ortodossia è appunto tutta la vita, non una formula di salvezza dell’anima. Secondo la cosiddetta teologia negativa, si può provare a definire Dio negando ciò che Egli non è; così noi possiamo dire con esattezza solo quale esperienza è falsa.
Il fatto è che l’ortodossia va vista, provata e accolta, piuttosto che raccontata a parole; ricordate i versi di V.S. Solov’ev: “Mia cara, forse non senti che solo una cosa v’è al mondo: ciò che un cuore ad un cuore confida in un muto saluto?”. Questo vale in buona parte per ogni esperienza religiosa: naturalmente la si può esprimere anche a parole, ma il cuore non s’infiamma quasi mai sentendo una lezione.
Insomma: non si può credere solo con l’intelletto, perciò testimoniare un’esperienza è fondamentale per l’ortodossia. Anche quando gli apostoli furono mandati a predicare, o quando poi annunciarono che Cristo era risorto, si trattava innanzitutto di condividere un’esperienza: raccontavano ciò che avevano visto coi loro occhi. Così, anche noi dobbiamo testimoniare ciò che abbiamo conosciuto.
L’ortodossia non si può imparare una volta per tutte: è il compito di tutta la vita, anche se non basterebbero dieci vite per conoscerla a fondo. Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Non si può essere troppo profondamente credenti, si può solo essere troppo credenti in superficie. Troppo profondamente non lo si è mai.

Note

[1] Cfr. C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche, lettera XXV.

[2] Nella lingua russa il termine “verginità” (tselomudrie) indica proprio il concetto di sapienza integrale, essendo composto da “tselaja” (integrale) e “mudrost’” (sapienza).

[3] La Chiesa ortodossa ha proclamato santi e “strastoterpcy” (letteralmente “coloro che hanno sofferto la passione”) lo zar Nicola II, la zarina Alessandra, i figli Alessio, Olga, Maria, Tatiana e Anastasia, uccisi il 17 luglio 1918 dai bolscevichi, in quanto la loro morte può essere comparata alla passione di Cristo stesso e dei martiri.