Frammenti d’amor perduto: i piaceri - 2
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Per chiarire ulteriormente il concetto di amore-dono e amore-bisogno, Lewis suggerisce di classificare allo stesso modo qualcosa di più concreto e che ci è più spesso vicino: i piaceri. Anche i piaceri possono essere suddivisi in due categorie: quelli provocati da un vivo desiderio (come bere un bicchier d'acqua) e quelli che sono piaceri a pieno titolo, senza il concorso di un atteggiamento preparatorio (come quello che deriva dal percepire un piacevole e intenso profumo, inatteso). Chiama piaceri da bisogno i primi, da apprezzamento i secondi (affrettandosi a sottolineare, però, che l'assuefazione può modificare completamente il piacere che riceviamo da qualcosa).
Proviamo a classificare meglio questi due diversi piaceri. Soddisfatto uno del primo tipo, ciascuno di noi potrà esclamare: per Giove, proprio quello che ci voleva (lo direbbe anche un alcolizzato di un bicchiere di vino); soddisfatto uno del secondo tipo, ciascuno di noi direbbe: com'è buono questo profumo (come l'assaggiatore di vini che dirà: è un vino eccezionale).
Lewis insomma ci guida a questa scoperta: quando si tratta di piaceri da bisogno le nostre affermazioni riguardano noi stessi, e sono espresse al passato; quando si tratta di piaceri da apprezzamento esse sono rivolte all'oggetto in questione, ed espresse al presente.
I piaceri da bisogno, una volta goduti, muoiono in noi (avete mai provato – ironizza Lewis – la necessità di un locale con la scritta: SIGNORI?).
I piaceri da apprezzamento, invece, non ci procurano un semplice appagamento dei sensi, ma qualcosa che di diritto esige il nostro apprezzamento.
L'accostamento dei piaceri da bisogno con il nostro amore-bisogno è abbastanza ovvio: entrambi non durano oltre la necessità del momento, sono effimeri. Questo significa che ogni nostro affetto è destinato a morire in noi? No, se viene sostenuto: ciò che inizia come amore-bisogno può ricevere l'innesto di un qualche altro affetto che lo rende duraturo, permanente, perenne (è il caso della fedeltà coniugale, della pietà filiale, della gratitudine, eccetera); ma, certo, se esso non riceve sostegno, è vano sperare che possa durare e trasformarsi (di qui i lamenti delle madri trascurate, delle amanti abbandonate dopo che il desiderio fisico del proprio compagno è stato soddisfatto, eccetera). Di questo genere è anche il bisogno di Dio, che però non può avere mai fine, pur potendo cessare la nostra consapevolezza di questo bisogno (il diavolo era malato, il diavolo voleva farsi frate; cioè quante volte nel momento del bisogno cerchiamo l'aiuto di Dio, per poi – passato il pericolo – dimenticarcene? Ma la sincerità sta nell'averlo cercato, o nel dimenticarcelo?).
E il piacere da apprezzamento, a quale tipo d'amore corrisponde? Il discorso è più complesso: intanto, afferma Lewis, è il punto di partenza perché noi si faccia esperienza del bello. Questo piacere contiene una forma di amore che possiamo definire disinteressato verso l'oggetto stesso che apprezziamo (è cioè diverso dall'amore-dono, che ci farebbe rinunciare a qualcosa per darlo a qualcun altro). E' quel sentimento che ci trattiene dal deturpare un'opera d'arte, che ci fa sentire felici al pensiero di una foresta incontaminata che pure non vedremo mai con i nostri occhi. Dunque i piaceri di apprezzamento adombrano un tipo d'amore che nella nostra iniziale classificazione non era contemplato: e cioè la capacità di giudicare che un oggetto è buono in sé, il desiderio che esso esista e continui ad esistere così come è, anche se noi non ne potremo godere. Questo tipo di amore può essere rivolto anche alle persone: verso una donna è ammirazione, verso un uomo culto dell'eroe, verso Dio adorazione.
Per chiarire meglio Lewis distingue così: nei confronti di una donna, l'amore-bisogno dice: "non posso vivere senza di te"; l'amore-dono desidera ardentemente renderla felice, darle conforto, protezione, agi; l'amore-apprezzamento la contempla trattenendo il respiro… e tace, gode per il semplice fatto che una simile meraviglia esista, pur sapendola non destinata a sé, non cederebbe allo sconforto se dovesse perderla (averla almeno conosciuta è alternativa migliore). E così, mi pare, si deve leggere quella celebre pagina della Vita nuova di Dante.
E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare». Io dico ch'ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
(mi permetto di suggerire a chi voglia capire fino in fondo il senso di questo brano la lettura del commento che ne ha fatto Contini).
E per comprendere che l'amore è una realtà tanto complessa e differenziata, pur nella sua radicale unità, ci soccorrono le lingue stesse che gli uomini hanno usato nel corso della loro storia: nel carme 72 del Liber di Catullo ne troviamo tre diverse accezioni.
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
Qui potis est inquis? Quod amantem iniuria talis
Cogit amare magis, sed bene velle minus.
Dunque c'è amore e amore, amore inteso come sentimento tenero e assolutamente disinteressato, di dono (dilexi), a cui si contrappone quel forte uror (brucio) che già indica uno scontro di passioni nel nostro animo (quella che si farà esplicita in Odi et amo); c'è poi l'amore passionale, carnale, di bisogno; e infine c'è l'amore che si dirige al bene, che si risolve tutto nel bene dell'altro, nell'apprezzamento della sua bellezza ed esistenza. Tante forme diverse di quella stessa cosa che in tedesco è detta sempre e solo Liebe: riconoscere la comune natura dell'amore e, al tempo stesso, distinguere i confini di ciascuna delle sue tante sfumature è il terzo ingrediente della proposta.