Tettamanzi: sui referendum
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Che effetto le ha fatto, eminenza, il dibattito degli ultimi mesi sulla procreazione assistita?
«Rilevo che il dibattito presenta un aspetto positivo, perché attira l’attenzione di tanti ad interessarsi di questioni di cui spesso si tace, mentre sono importanti e decisive per ogni uomo e per la società. Devo però aggiungere che questo dibattito non sempre è stato corretto e non sempre ha saputo affrontare alcune questioni. Da parte di molti si è preferito parlare per slogan, semplificando e assolutizzando alcuni aspetti, giungendo persino a falsare i termini dei problemi in discussione.Di più: non sempre sono stati messi in luce i valori in gioco; e, quando lo si è fatto, non si è discusso adeguatamente il tema-importante e, per qualche verso, discriminante in ordine ad un confronto referendario - del rapporto tra la legge morale e quella civile. Devo dire, ancora, di alcune prese di posizione pregiudizialmente chiuse a ogni vero e serio confronto. Così, ad esempio, la contrapposizione tra cultura cattolica e cultura laica: la ritengo del tutto inaccettabile, perché qui in gioco non è una “questione cattolica”, ma una questione pienamente “umana”. È in gioco la vita umana, il bene fondamentale per ogni persona, sia essa cattolica o no, credente o no, di destra o di sinistra».
Che cosa risponderebbe a chi ha attaccato il cardinale Ruini, per l’indicazione del “non voto”?
«La Chiesa - se non vuole venir meno alla sua identità e missione - non può esimersi dall’intervenire di fronte a scelte etiche e legislative di primaria importanza come quelle che toccano la vita dell’uomo e, quindi, la sua inviolabile dignità di persona e che decidono del futuro stesso dell’umanità. Gli interventi del presidente della Cei scaturiscono da questo “diritto-dovere” della Chiesa, lo esprimono e lo esercitano. Si tratta di un “diritto-dovere” irrinunciabile che, in una società veramente libera e democratica, non può essere soggetto a nessuna forma di limitazione, a meno di dimostrare che l’esercitarlo sia contro il bene comune!»
In questo caso, però, non ci si limitava al principio, si indicava un comportamento...
«Se si rileggono con pacatezza e onestà gli interventi del cardinale Ruini, si nota immediatamente che essi offrono, anzitutto, gli elementi essenziali per un giudizio etico sulla legge sottoposta a referendum. Sottolineano, poi, con insistenza la necessità di un’informazione corretta ed equilibrata e di una formazione davvero attenta ai valori in gioco. Dando anche voce all’indicazione del Comitato “Scienza vita” di non partecipare al voto, affermano che “in concreto è necessaria la più grande compattezza nell’aderire all’indicazione del Comitato, per non favorire, sia pure involontariamente, il disegno referendario”, che consiste nel sopprimere alcune parti della legge 40, con il risultato di peggiorarla da un punto di vista etico. Aggiungo che lo stesso presidente della Cei, insieme con i vescovi del Consiglio permanente, ha precisato con cura che il senso autentico di questa indicazione non è affatto una scelta di disimpegno, ma l’esatto contrario».
Sì, ma per la Chiesa è legittimo consigliare il non voto?
«Questo consiglio è di per se stesso del tutto legittimo, a prescindere da chi lo formula. Come precisano, infatti, gli esperti del diritto e come, per altro, è stato indicato da esponenti politici di primo piano in altre occasioni referendarie, la non partecipazione al voto nel caso dei referendumabrogativi è una delle scelte possibili previste già nella nostra Costituzione. Il non votare, allora, è un modo per esprimere democraticamente la propria volontà di cittadini, che è il primo gradino della libertà democratica. Al dire dei giuristi, nel caso dei referendum abrogativi, diversamente che nelle elezioni amministrative e politiche, non sussiste un dovere civico di votare. Anzi, la libera scelta di votare o di non votare è un ingrediente essenziale del congegno referendario. Ora se il consiglio del non votare è legittimo, legittimo rimane da chiunque venga dato: anche dalla Chiesa e, in essa, anche dai vescovi. Perché meravigliarsene o rimanerne scandalizzati?»
Forse perché viene visto come un’ingerenza?
«La Chiesa è “madre e maestra”, come ci ha ricordato Giovanni XXIII in una sua famosa enciclica sociale. Come “maestra”, ha il compito di “insegnare”, ossia di annunciare la verità del Vangelo e la fede con tutte le sue conseguenze sui valori e sulle esigenze etiche dell’uomo. Come “madre”, può e deve orientare e guidare i suoi figli, indicando la strada più sicura per vivere in fedeltà al Vangelo. E questo tanto più se la Chiesa, come vuole il Signore e quindi come è il suo “ruolo”, rimane pienamente inserita nelle vicende e nelle problematiche del mondo, testimoniando nella società quei valori che le vengono dal Vangelo e che sono capaci di rendere più giusta e più umana l’intera convivenza. E sono valori che la Chiesa è chiamata a proporre in modo coerente e convincente, con gesti e argomentazioni che sanno interrogare anche chi non è cristiano e suscitare e favorire anche il suo consenso. È innanzitutto in questa prospettiva di Chiesa “madre e maestra” che si pone, e dunque va letto, il consiglio espresso dai vescovi».
L’indicazione è vincolante, per un cattolico?
«Per la verità, le indicazioni dei vescovi sono più di una. La prima, la più sostanziale e vincolante, è che a partire dalla retta ragione ci sono diritti fondamentali che vanno salvaguardati: il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano, compreso l’embrione; i diritti della famiglia e del matrimonio come istituzione; il diritto per il figlio ad essere concepito, messo al mondo ed educato dai suoi genitori in un contesto di vita matrimoniale».
Ma una legge dello Stato può assumere tali valori?
«Si tratta di diritti che costituiscono dei “limiti invalicabili” oltre i quali la legge civile, proprio in forza della propria finalizzazione al bene comune, non può andare, senza la sua perdita di forza e di credibilità. Sono come la “soglia di tolleranza” che non può essere oltrepassata. Se invece venisse superata, ad essere negato sarebbe qualche cosa di intrinsecamente essenziale alla dignità della persona umana, così come a non poter essere ottenuto sarebbe lo stesso bene comune, cui la legge deve sempre mirare».
Diceva che le indicazioni sono più d’una...
«L’altra indicazione dei vescovi è che la legge 40 è una legge che “sotto diversi e importanti profili non corrisponde all’insegnamento etico della Chiesa, ma ha comunque il merito di salvaguardare alcuni principi e criteri essenziali”. In altre parole, è una legge la cui “soglia di tollerabilità” è già al limite: non può, dunque, essere superata, come avverrebbe abrogando le parti indicate nei quesiti referendari. Di qui un’altra precisa e vincolante indicazione: questa legge non può - non deve - essere peggiorata. Ma questo avverrebbe votando “sì” ai referendum, mentre rimarrebbero aperte come eticamente possibili (almeno sotto il profilo teorico) le due strade del votare “no” e del “non votare”. In particolare, l’indicazione della “non partecipazione al voto” deve dirsi “vincolante” in forza delle ragioni, di ordine “pratico e prudenziale”, che vengono portate per difenderla e promuoverla. E sono ragioni non deboli né peregrine che molte persone del mondo scientifico, culturale, professionale e politico - persone competenti e di diversa appartenenza non solo partitica, ma anche culturale e religiosa -hanno illustrato in questi mesi e che il Comitato “Scienza vita” ha cercato e continua a cercare di diffondere e di chiarire. Nella prospettiva ecclesiale sopra ricordata, leggo l’indicazione del “non votare” analogamente a quella che una madre - guidata da vero amore per i figli, di cui comunque riconosce la maturità e rispetta la libertà - si sente in dovere di dare a un proprio figlio quando è di fronte a scelte importanti, addirittura decisive, per la sua esistenza. È un’indicazione da prendere in grande considerazione e che solo per gravi motivi si potrebbe disattendere senza sentirsi in qualche modo a disagio o in colpa».
Cosa direbbe ai cattolici che invece vogliono votare?
«Direi che non devono, con il loro voto, peggiorare la legge. Chiederei, poi, che prendano in seria considerazione le motivazioni che accompagnano il consiglio, da più parti espresso, di non andare a votare, esprimendo così “un doppio no”: il “no” al peggioramento di questa legge e il “no” ad un uso dell’istituto referendario che, anche in questa occasione, sembra quanto mai discutibile, se non addirittura guidato da inaccettabili strumentalizzazioni. Li inviterei, ancora, ad interrogarsi sugli effetti che, nel concreto panorama attuale delle posizioni, questa loro scelta potrebbe avere: sia in ordine al raggiungimento del “quorum” per la validità del referendum, sia in ordine ad un’eventuale affermazione dei “sì”, che porterebbero all’inaccettabile peggioramento della legge. Sento, infine, vivo il bisogno di rivolgere un forte e accorato invito a tutti i cattolici: evitino ogni forma, più o meno larvata, di “reciproca scomunica”. Non è forse una tentazione “diabolica” che, se seguita, porterebbe a deleterie e infondate “divisioni” e “lacerazioni” del tessuto ecclesiale?»
Che dice, invece, ai fedeli della sua diocesi?
«Dico, anzitutto, che su questi temi è necessaria una più limpida e costante opera di informazione e di formazione, che è parte integrante e permanente della missione evangelizzatrice della Chiesa. Ed è, quindi, un’opera che deve continuare anche dopo il referendum.Eal riguardo tutti, con competenze e forme diverse, dobbiamo sentirci fortemente responsabilizzati».
In che senso?
«Quella della vita, in realtà, è una delle “sfide” principali del nostro tempo, anche nel nostro Paese e nella nostra comunità cristiana: accogliere, tutelare e promuovere la vita umana di ogni persona e in tutte le sue condizioni e fasi di sviluppo è un grave dovere morale, che ci interpella come uomini e come cristiani. Ma, nello stesso tempo e nonmeno, questo è un grave dovere civile, che ci interpella come cittadini. Lo è perché la vita fisica, per ogni uomo e donna, costituisce il fondamento di ogni altro bene di cui l’uomo possa godere sulla terra: la libertà, l’amore, la pace, la salute, lo sviluppo, la cultura, le relazioni interpersonali, il benessere economico e altri ancora. Accogliere, tutelare e promuovere la vita umana, allora, è la condizione originaria e necessaria perché si possa realizzare il bene comune. Interessarsi di questi problemi e partecipare attivamente a livello culturale, sociale e politico perché - di fronte a ogni minaccia e ad una sempre più diffusa “cultura della morte” - si affermi e si diffonda una vera “cultura della vita”, è questione di tale portata presente e futura che non può lasciare indifferente e inerte nessuno! E nel segno della concretezza devo dire che la “partecipazione”, di cui sto parlando, chiede di esprimersi anche in questa vicenda referendaria, con scelte precise che non portino ad un peggioramento dell’attuale legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita».