La tentazione di Faust
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"No alla clonazione terapeutica: è la tentazione di Faust"
Il cardinale Scola sul referendum: "Giusto astenersi"
VENEZIA - "È la tentazione di Faust, è come la proliferazione incontrollata delle bombe atomiche". Il patriarca di Venezia, Angelo Scola, reagisce allarmato alle notizie sulla clonazione terapeutica che dalla Corea del Sud e dalla Gran Bretagna irrompono in Italia alla vigilia del referendum sulla procreazione assistita.
Cardinale Scola, perché questo allarme?
"Succede che in apertura del XXI secolo l'uomo è in grado di mettere mano all'origine della sua stessa vita in modo da innescare processi che possono diventare indominabili e condurre alla sparizione della stessa specie umana".
Addirittura sparizione?
"Se non "ricevo" più la vita assecondando il dinamismo naturale, che da sempre ha permesso al singolo uomo di venire alla luce, se entro nell'ottica faustiana di considerarmi come l'artefice che produce la vita, allora che garanzia abbiamo che non sorga una volontà di potenza tale da innescare fenomeni che giungano fino all'abolizione dell'umanità stessa?".
Dove vede emergere la tentazione di Faust?
"Nella formulazione di un giovane filosofo della scienza tedesco Jongen, che dice "facciamola finita con questa storia millenaria dell'uomo soggetto personale e accettiamo una volta per tutte che l'uomo è il suo proprio esperimento". Questo è molto pericoloso".
E invece?
"Abbiamo il dovere di rispettare la vita umana dal concepimento alla morte naturale. Questo è il monito che ci viene dagli inaccettabili esperimenti della Corea del Sud e dell'Inghilterra".
Eminenza, una parte dell'opinione pubblica non crede che si possa equiparare l'ovulo fecondato dopo cinque minuti a una persona.
"Dobbiamo tornare all'esperienza umana elementare. Qui non c'entrano laici e cattolici, tutti abbiamo da meditare. C'è un dato di fatto: io sono oggi Angelo Scola, un uomo di sessantaquattro anni, perché fin dal concepimento sono stato quell'embrione lì. È innegabile".
Però ci sono degli stadi nell'evoluzione.
"Un bellissimo articolo di Romano Guardini del 1949 mette in evidenza l'elemento di totalità organica, che caratterizza fin dal concepimento ogni singolo come quel singolo. Uno di anima e di corpo, per usare le parole della Gaudium et Spes. Sin dall'inizio. È chiaro che ci sono dei gradi, ma essi si collocano tutti all'interno di una unità organica dinamica. Per questo non si può negare la dimensione personale del concepito, dei cui diritti una legge deve tener conto come dei diritti del padre e madre".
L'opinione pubblica è attenta a quanto può combattere gravi malattie.
"Occorre stare attenti alle implicazione negative che possono venire dalla società dell'immagine. È evidente che se faccio vedere un malato grave di Alzheimer, seduto su una sedia a rotelle, e lo metto a confronto con un invisibile embrione creo falsi paragoni, emotivamente intensi ma logicamente deboli".
Non crede che la ricerca scientifica, alla lunga, non si possa fermare?
"Non si può parlare in astratto. Bisogna distinguere tra scienza, tecnica, tecnologia e scienziato. La sintesi la fa la persona, lo scienziato, che è un uomo che sta nel consesso umano, che vive, ama, lotta, soffre, ha figli, vuol bene a una donna. È lui, come uomo nel sodalizio della famiglia umana, che deve accettare i valori condivisi e autoregolarsi, comprendendo ciò che per un effettivo progresso è fattibile o no. Ovviamente nel rispetto della legge".
Scienziati responsabili sostengono che le cellule staminali embrionali, essendo totipotenti, potrebbero essere più utili delle altre?
"Così si torna ai problemi di fondo della fecondazione assistita o della clonazione terapeutica: il principio basilare è che il concepito non può mai diventare strumento per salvare un'altra vita umana".
Sono interrogativi complessi. Qual è la sua prospettiva?
"Al fondo emerge l'interrogativo se noi uomini di oggi siamo disposti a riconoscere la bellezza e la profondità del fatto che c'è la presenza di un Padre, di cui siamo figli, da cui dipendiamo e di cui abbiamo un bisogno enorme come avvertiamo nella fragilità che ci investe da ogni parte. E qui si apre uno spazio stupendo per gli uomini di tutte le religioni, chiamati a testimoniare la bellezza e il fascino della presenza di Dio. Perché, come diceva il teologo De Lubac, si può anche costruire una società senza Dio, ma in tal caso si rischia di costruire una società contro l'uomo e gli esempi tragici del Novecento devono farci riflettere tutti quanti".
Il prossimo referendum pone quesiti specifici. Perché astenersi?
"Quasi nessuno ricorda che è un referendum abrogativo. Quindi oltre che pronunciarsi a favore o contro è di pari dignità decidere di non prendere in considerazione la proposta. In questo caso, a fronte di una questione epocale e in presenza di quesiti piuttosto astrusi, mi sembra un esercizio formalistico di democrazia pretendere che milioni di persone si esprimano su problemi così complessi con una semplice crocetta sulla scheda. Noi dobbiamo lavorare per una democrazia sostanziale, anche valorizzando i corpi intermedi. L'indicazione del non voto favorisce la maturazione della questione in una società democratica e plurale come la nostra".
Il quesito sui tre embrioni da impiantare non mi sembra al di fuori della scelta di un cittadino.
"In una materia di vastissima portata ogni aspetto tocca tutti gli altri e per questo il referendum abrogativo è inadeguato come strumento. Bisogna evitare di congelare embrioni. È una cosa tragica per chi come me pensa che ogni embrione è vita umana. Non si tratta di un numero: tre, cinque o sette".
Insistendo sull'astensione dovuta alla complessità della materia, la gerarchia ecclesiastica non diffonde l'immagine di un popolo bue incapace di capire e decidere?
"Esattamente il contrario. È la difesa del popolo, dell'esperienza elementare di ogni uomo. Un'esperienza comune a me e che sarebbe stata comune a mia mamma o a mio papà camionista con la terza elementare. In questo senso le indicazioni dei vescovi vogliono essere un'eco dell'esperienza elementare del popolo. E io sono uno del popolo. Il fatto di essere patriarca è del tutto secondario, anzi accidentale. Gli intellettuali non devono essere avanguardisti, cioè pensare per gli altri e identificare obiettivi per gli altri. Ascoltino anch'essi l'esperienza elementare del popolo".
Tuttavia la Cei è arrivata proprio all'indicazione tecnica di ciò che l'elettore deve fare. Cosa resta dell'autonomia del laicato cattolico?
"Chi fa questi ragionamenti dimentica l'insegnamento di Jacques Maritain, grande filosofo della politica, il quale ha sempre detto che esiste un terreno intermedio tra i principi ideali e le soluzioni pratiche e che quando si mette in gioco l'applicazione di principi fondamentali - come la difesa della vita - non è pensabile che non ci sia un'indicazione da parte di chi nella Chiesa ha il compito di assicurare comunione e unità. Noi diciamo: attenzione perché abolire questa legge, che pure ha dei limiti dal punto di vista cattolico, significa cadere nel far west legislativo".
E la libertà di coscienza del fedele?
"Libertà di coscienza non significa affermazione individualistica di sé o che la coscienza inventa la verità. Io cristiano sono invitato dalla mia fede a vagliare ogni cosa avendo in me il pensiero di Cristo, all'interno della comunità cristiana e facendo riferimento a chi la guida. Anche se poi alla fine ciò verrà sancito dalla mia personale decisione. Da questo punto di vista sono contento di constatare che le aggregazioni dei fedeli, in questa occasione, stiano collaborando tra di loro. E un segno importante per la Chiesa e l'intero Paese".
Il cattolico che va a votare è stupido o traditore, come è stato detto da alcuni?
"Preferisco dire che è ingenuo. Stante la natura del referendum abrogativo e la questione del quorum, colui che andasse a votare non commetterebbe un'ingenuità, perché è evidente che con il quorum vincerebbero i sì. Non mi sento di usare altri termini perché ho troppo rispetto per la libertà di ciascuno". Nella molteplicità delle visioni religiose ed etiche non va tutelata in ultima analisi la laicità dello stato? "Noi cattolici ci teniamo moltissimo e sarebbe bello che questa fosse l'occasione per fare maturare in Italia la laicità dello stato fuori dagli schemi di clericalismo e anticlericalismo. Dobbiamo renderci conto che nella società civile del dopo-'89 l'uomo postmoderno sta vivendo un travaglio in cui si apre la possibilità per il cristianesimo di intercettare le domande costitutive dell'esistenza, che sono a fior di pelle in ciascuno. In questo senso è bene accettare una laicità che non sia, per dirla con Hegel, una notte in cui tutte le vacche sono bigie, ma un ambito di costruzione della società in cui tutte le soggettività possano esprimersi. Comprese le religioni. Senza pretese di sconti o di privilegi, ma nel riconoscimento della loro valenza pubblica e della loro capacità di contribuire all'edificazione di una vita buona".