Madri "in vitro", lettere dalla clausura
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Una suora di clausura che dialoga via internet con le mamme in provetta. Le sprona a chiedersi le ragioni profonde del percorso che hanno intrapreso. Le invita a riflettere sulle conseguenze che quel concepimento "forzato" avrà sulla psiche dei figli, sulla loro salute. Conseguenze non ancora, avverte, pienamente accertate. Le sue "parole elettroniche", apparse nel sito culturacattolica.it nel pieno della battaglia referendaria, sotto forma di una "Lettera di un nato-in-vitro all'amico", sono uscite dalle grate di un monastero di Monza e sono arrivate diritte ai cuori, hanno provocato, suscitato anche ira. "Come può una suora di clausura parlare di procreazione?". "Cosa ne sa lei del desiderio di un figlio?", le lettere più malevole tra le tante giunte in risposta a suor Maria Gloria nei mesi scorsi. Lei ha puntualmente replicato a tutte.
"La vita mi interpella, sempre", insiste oggi la religiosa, nel parlatorio del monastero di via Santa Maddalena, nel cuore antico di Monza. E con le dita bianche e lunghe indica una grande "ruota" posta a fianco della grata: "Vede? Oggi serve a passarsi gli oggetti, ieri accoglieva i bambini abbandonati. La vita, dunque, ha a che fare con il monastero. Come potevo restare indifferente ai temi del referendum? Chi vuole far tacere una suora di clausura "perché non sa nulla della vita" è imbevuto di pregiudizi. La gente non sa quale coscienza umana, prima ancora che cristiana, matura in una persona che fa un'esperienza di silenzio. La vita contemplativa ti fa scendere nel profondo della tua umanità, facendoti capire che l'uomo è un microcosmo e che niente di ciò che è veramente umano è estraneo al cristiano. La preghiera aiuta a tenere a cuore il problema centrale, che è la vita, la dignità della vita che sta venendo al mondo, non il desiderio, sia pur lecito, di chi vuole un figlio".
Suor Maria Gloria sorride spesso. I suoi, anzi, non sono sorrisi, ma risate argentine, aperte, genuinamente allegre. Illuminano due occhi curiosi, appassionati, aperti al mondo pur nel silenzio del chiostro. E' entrata nel monastero delle Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento nel 1984. Aveva 25 anni e nel suo passato di ragazza era stata marxista, anarchica, figlia dei fiori e poi ancora disegnatrice di fumetti e scenografa per il teatro. Lei e il fidanzato avevano già seguito il corso di preparazione alle nozze, la casa era pronta. Poi una carambola con l'automobile, lei che va in coma e, quando riapre gli occhi, sente "un desiderio fortissimo di fondermi con Dio". Quattro anni dopo, Maria Gloria indossa l'abito delle Adoratrici Perpetue: bianco, con lo scapolare rosso fuoco. Perché la clausura? "Perché Dio mi aveva raggiunto in una vita che aveva tutto ma mancava di senso. Mi sono chiesta: qual è il modo più efficace per dire all'uomo d'oggi che la felicità non viene dal possedere e dall'apparire, ma dal comprendere il senso profondo dell'esistenza? La risposta è stata la clausura".
Suor Gloria in convento ha studiato molto, ha scritto libri (il suo ultimo lavoro, pubblicato nel 2004 da San Paolo, è "Nell'arte lo stupore di una presenza"), si è appassionata di internet tanto da partecipare alla creazione del sito Samizdatonline.it, che diffonde in rete una "contro-cultura cristiana". La religiosa nei mesi scorsi ha fatto propria la battaglia culturale sulla vita, attraverso le pagine web di culturacattolica.it. Lì ha inserito la sua "Lettera di un nato-in-vitro all'amico". Ecco alcuni dei passaggi più significativi: "Ho letto da qualche parte che l'Amore è sacramento: al di là e al di sopra di ogni credo religioso questa è una verità ancestrale. L'amore è sacramento perché è via alla vita. Di questo sacramento io non so nulla. L'amore mi ha dato vita attraverso un filtro che rende dolorosamente inaccessibile per me l'accesso alle passioni. Io non so né amare, né odiare, la via alle passioni è sbarrata per me, mi sento confinato nel freddo ambito del calcolo, perché è questo che mi ha determinato".
Parole forti, anche provocatorie. "Proprio questo ti chiedo, amico - prosegue la lettera -: saresti stato contento di nascere così? Di pensare il tuo primo istante nel mondo dentro al chiarore trasparente di una provetta e non dentro un caldo abbraccio di una carne, al pulsare intenso di un battito che percepivi non con l'udito ma con tutte le fibre del tuo essere? Saresti contento di essere nato in vitro?".
La lettera è apparsa a febbraio e da allora la corrispondenza di suor Maria Gloria con le lettrici, quasi tutte donne sterili o in attesa di un figlio concepito in provetta, non si è più fermata. Alcune sono state particolarmente dure: "Suor Maria Gloria è la persona meno adatta a insegnare a una coppia cosa sia l'amore carnale (…). Ancor meno può capire, a causa della sua vocazione, il desiderio di metter al mondo un figlio che sia espressione vivente dell'amore di due persone, una vita nuova che sia parte e testimone di un amore grande e il dolore che spezza il cuore per non poterlo generare", scrive Barbara.
E Lucia, che presto sarà mamma, aggiunge: "Grazie a una fecondazione in vitro i biologi hanno ottenuto due embrioni che hanno attecchito: il prossimo agosto nasceranno due gemelli e sarò fiera di dire loro che la mamma e il papà hanno fatto il possibile per sconfiggere le loro malattie e che grazie a dei medici sono riusciti a dar loro la vita".
Poi c'è Monica, in cura a Bruxelles, che non chiama Gloria "sorella" o "suora", ma polemicamente "signora": "Signora, apra gli occhi, ma soprattutto, apra il suo cuore. Una donna infertile si sente come una persona a cui manca un braccio, o una gamba. Provi a pensare a questo, provi a sentirlo. Lo prova quel dolore? Un'ultima domanda: lei ha mai desiderato un bambino? Immagino, vista la sua professione, di no. Come può allora scrivere su una questione che non la riguarda".
Suor Gloria ha risposto a tutte. Umilmente, ma senza perdere il sorriso, ha provato a spiegare le sue ragioni a ciascuna, le sue perplessità nei confronti di una scienza che spinge a pretendere tutto perché tutto è possibile. Con alcune la corrispondenza continua e i camicini ricamati a mano sono già partiti dal monastero di Monza per raggiungere le città in cui nasceranno i bimbi delle donne che le hanno scritto.
"Non intendevo certo creare bambini di serie A e B - si schernisce suor Maria Gloria -. Ogni bambino che vede la luce è benedetto da Dio, indipendentemente da come è stato concepito. Il mio intento era semplicemente quello di far riflettere sul Mistero della vita e sul suo principio divino. Non il desiderio di ingaggiare una crociata mi ha spinto a scrivere, quanto la passione per quell'accadimento che è dentro l'incontro di due vite che si uniscono nel senso più concreto del termine. Ho pensato semplicemente al dramma che potrebbe sorgere in un'anima che scoprisse la sua origine, lo stesso dramma che potrebbe colpire qualunque essere umano che si scoprisse in qualche misura diverso". A Barbara, che la ritiene incapace di capire il desiderio di una coppia di dare la vita, suor Maria Gloria risponde pacata ma decisa: "La castità è talmente vicina nella sua ispirazione ultima, cioè legata alla vita e all'amore, al matrimonio, che non mi sono sentita fuori luogo". E allunga ancora una volta le dita bianche verso la "ruota": una nicchia in cui si accoglie la vita. Come il monastero.