Effetti nefasti del relativismo etico
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Il relativismo etico consiste nel mettere ogni scelta sullo stesso piano. Tutto è equivalente: il figlio naturale e quello in vitro, il rapporto tra uomo e donna e quello tra due uomini; l’amore materno e l’utero in affitto… Per esprimere questo concetto ci sono alcune frasette-tipo, che solleticano il ventre, entrano dalle orecchie ma non arrivano alla testa: “ognuno faccia quello che vuole”, “non si deve discriminare” (cioè: distinguere), “vivi e lascia vivere”… C’è, in queste espressioni, il menefreghismo nei confronti della vita, e la tristezza della nostra civiltà decadente. Infatti quando tutto si equivale, è perché nulla ha più alcun valore, è perché la mente non distingue, non indaga, il cuore non sceglie, non abbraccia… E’ perché all’uomo non è riconosciuta la sua grandezza spirituale, in cammino. Un semplice esempio: se ci sono due cani, uno magro, emaciato, e uno grasso e pasciuto, e una scodella di minestra, il cane grasso, spinto dall’istinto, si precipita sulla scodella e il cane magro può solo guardare. Se la stessa cosa avviene tra due uomini, quello grasso, anche se affamato, può scegliere se mangiare o lasciare all’altro. Non sono scelte equivalenti. Una è giusta e una no; nella prima l’animalità risulta vincente, nella seconda l’azione della volontà, della libertà, prevale sull’istinto animale. Gilbert Chesterton, in uno dei suoi gialli, mette in luce come il sentimento del rimorso, dopo un omicidio, segni la differenza tra l’animale in-cosciente, il cane che ha mangiato il gatto, e l’animale cosciente, l’uomo, che non può uccidere un suo simile senza provare un disagio interiore, un malessere spirituale. Distinguere, scegliere tra bene e male, provarci, è dunque sinonimo di anima, di una vita completa, che coinvolge tutte le facoltà dell’uomo, anche la mente e il cuore, non solo l’istinto, prospettico, miope, che vede solo da una angolazione e solo da vicino. L’uomo si realizza nella sua integrità, o non si realizza. Per questo il relativismo ha le sue conseguenze: ricade sulla psiche, genera depressione, disgusto, sazietà. Semplicemente: non funziona. Basti leggere biografie e scritti dei primi dandies, degli autori dalla vita maledetta: Baudelaire, Verlaine, Wilde, Huysmans… Vi è in tutti loro, in queste anime spezzate, anche se affascinanti, la sete bramosa di piaceri sensibili, di emozioni sregolate. Eppure pesa sulla loro anima, come il “coperchio di una pentola” in un piovoso pomeriggio d’inverno, il tedio mortifero, lo spleen; il desiderio di tutto diviene, col tempo, desiderio di nulla. Fanno uso di sostanze stupefacenti, di alcool e oppiacei, sperimentano sedute spiritiche, profumi orientali, rapporti carnali di ogni tipo… Poi Baudelaire tenta il suicidio e scrive che la Speranza è morta, e l’”Angoscia pianta il suo vessillo nero sul mio capo chino”. Verlaine ne dà il motivo: “Tutto è mangiato, tutto è bevuto, niente più da dire!”. I sensi, ubriacati, sfiniti, finiscono per assopirsi; subentra la stanchezza che si volge in disperazione, oppure approda, infine, alla Fede, come nel caso di Wilde e Huysmans. Le conseguenze del relativismo non sono solo spirituali, ma anche fisiche. E’ come se l’ordine naturale si ribellasse a queste violazioni. Mai come oggi, nell’era della libertà sessuale più assoluta, impotenza, anorgasmia e sterilità sono state in forte aumento. E’ come se una sterilità fisica facesse seguito ad una sterilità spirituale. Si sprecano i casi, drammatici, di coppie sterili per aver rimandato di continuo la generazione di un figlio: non è lo spazio fisico che manca, in questi casi, ma lo spazio spirituale per accogliere la vita; non è l’istinto ad amare che viene meno, ma la capacità di educarsi, nel sacrificio, all’amore. E’ il desiderio di divenire padre e madre, di assumere una responsabilità verso un altro, ad essere fiacco, stanco, e quasi a spegnersi persino negli ovuli e negli spermatozoi, emergendo magari quando fisiologicamente è troppo tardi. Si ricorre allora, disperati, all’ausilio pericolosissimo delle tecniche artificiose. Il fenomeno rischia di divenire un circolo vizioso: la promessa dei fecondazionisti di dare un figlio anche in età avanzata (fino alle mamme-nonne), tramite crioconservazione, spingerà molti ancora, per motivi di lavoro o altro, a rimandare, coll’unico risultato di privarli della gioia di un concepimento naturale. Vi sono poi le sterilità, fisiche e/o psicologiche, dovute all’uso eccessivo di anticoncezionali abortivi o agli aborti fatti con leggerezza, in nome del “fai ciò che vuoi”. Il dottor Giorlandino racconta ad esempio che molte mamme vanno incontro ad “aborti ripetuti” non perché non vogliono figli, ma per “autopunizione. Il meccanismo psicologico è: non potrò più essere madre perché ho abortito” (la Repubblica delle donne, 24/5/2003). Il relativismo, spacciato per ideale, è dunque un non ideale; spacciato per libertà la prostra; è sterile perché, a differenza dell’amore, non abbraccia e non sceglie.