Sull'astensione
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Roma, 8 giugno 2005
Pregiatissimo Presidente,
ho letto con sgomento le argomentazioni del Presidente emerito della Corte Costituzionale Zagrebelski, riportate dalla stampa, sull’asserita “immoralità”, di chi, volendo contrastare la sperimentazione sugli embrioni umani (e la relativa uccisione degli stessi), decide di non andare a votare il giorno del referendum sulla legge n. 40 del 2004.
Lo sgomento è duplice, sotto un profilo giuridico e sotto quello morale.
Sotto quello giuridico perché non si riesce a comprendere come possa risultare illegittimo un comportamento ammesso dalla legge che disciplina il referendum abrogativo e al quale la stessa legge assegna un significato.
Nella sostanza, chi è chiamato a pronunciarsi sull’abrogazione di una norma entrata nel nostro ordinamento ha, per l’art. 75 della Costituzione e la legge n. 352 del 1970, tre modi di esprimere la propria volontà: pronunciarsi per il sì, per il no, astenersi non andando a votare.
Un modo analogo di manifestare la propria volontà è previsto nello stesso regolamento parlamentare del Senato. Regolamento di valenza costituzionale ai sensi degli artt. 64 e 72 della Costituzione.
In altri termini, il regolamento del Senato considera l’astensione di chi partecipa alla votazione di una legge in aula, come manifestazione negativa di volontà, della quale il Presidente dell’Assemblea tiene conto quando va a fare il calcolo dei voti e la verifica della maggioranza.
In concreto, nel calcolare la maggioranza dei presenti aventi diritto al voto, gli astenuti vengono computati, di fatto, tra i votanti no.
Un esempio potrà chiarire meglio. Se 300 sono i presenti in aula e, nel votare una legge, 140 senatori dicono sì, 120 no e 40 si astengono, il disegno di legge sarà respinto, perché risulteranno 140 sì e, di fatto, 160 no.
Se, dunque, lo stesso Parlamento (nel nostro caso il Senato) considera, di fatto, una astensione, espressione di volontà negativa, non si comprende perché sarebbe “illegittimo”, o addirittura “immorale”, astenersi nel referendum del 12 giugno p.v.
Se così fosse, si dovrebbe concludere che tutte le leggi fin qui approvate dal nostro Parlamento derivano da un comportamento “illegittimo” e “immorale”.
Peraltro, affermare che chi non va volutamente a votare, per togliere validità al referendum, compie, nella sostanza, “una furbata” o tiene un comportamento “scorretto moralmente” (perché sfrutta, a proprio vantaggio, il comportamento e l’astensione di quella parte di elettori che non va mai a votare), significa fare un processo alle intenzioni di chi non vota (qualunque sia il motivo), che un giurista non può compiere, come non lo compie la legge, che a tutte le astensioni assegna un uguale significato.
In sostanza, quando l’art. 75 della Costituzione e la legge n. 352/70 tengono conto, sotto un profilo giuridico, anche dell’astensione (alla quale viene dato un significato negativo specifico in grado, entro certi limiti, di rendere non valido il referendum), non fa che indicare all’elettore un modo per esprimere la propria volontà, in ordine ad una norma sottoposta a referendum abrogativo, diversamente da quanto avviene per l’art. 138 della stessa Costituzione che, nel regolare un altro tipo di referendum, ignora gli astenuti nel momento in cui considera e calcola il voto e la volontà degli elettori.
Quando l’essere umano, come individuo, non viene rispettato in ogni stadio del suo esistere (anche, quindi, nel momento in cui vive la fase embrionale), esso diventa strumento in mano ad altri per raggiungere presunti fini di ordine superiore. Siamo, insomma, “al fine che giustifica i mezzi”, ovvero alla legge del più forte al quale il debole deve comunque cedere, anche la vita, se necessario e se così decide il più forte.
Ma, allora, a che serve lo Stato? Per tutelare chi e da chi?
E perché continuare a parlare di giustizia, di uguaglianza, di fraternità, di libertà, di democrazia, se queste sono le regole?
Strano, invero, il concetto di democrazia che ci viene proposto.
Non la democrazia a servizio dell’uomo, ma l’uomo al servizio della democrazia.
Non il sabato per l’uomo, ma l’uomo per il sabato.
Democrazia che diviene valore assoluto da rispettare sempre, come bene superiore anche alla vita di ciascuno di noi. Metodo democratico di decidere che vale più della vita degli esseri umani.
Sicché, se la maggioranza decide che un innocente deve morire, quell’essere non ha più diritto di vivere e di esistere.
Siamo tornati, corsi e ricorsi storici, alle regole barbare degli albori dell’umanità quando si offrivano agli dei sacrifici umani e il cuore dei neonati, nel nostro caso: gli embrioni alla dea scienza.
Peraltro, tutti i diritti fondamentali riconosciuti e tutelati dalla nostra Costituzione sono dipendenti e funzionali all’esistere.
Solo chi esiste può esercitare diritti e solo a chi esiste lo Stato garantisce la tutela di tutti gli altri diritti.
Ne consegue che diritto fondamentale, al di sopra del quale nessun altro diritto può essere posto, è il diritto di vivere di ogni essere umano che lo Stato è chiamato a proteggere in ogni momento, dal concepimento alla morte, non esistendo soluzione di continuità tra questi due attimi per chi, embrione, non è “qualcosa” ma “qualcuno”.
In concreto, lo Stato non è padrone della vita dei cittadini; esso nasce, per l’opera di chi già esiste, con lo scopo di difendere queste vite dall’azione del violento e del prevaricatore.
Se a questa funzione lo Stato rinuncia, vuol dire che ha rinunciato alla sua ragion d’essere e che, dunque, in futuro, ogni possibile scopo sarà perseguibile, anche il più aberrante, sol che lo voglia la maggioranza dei cittadini.
Insomma, o si agisce come si pensa o si finisce con il pensare come si agisce, ovvero o si agisce secondo coscienza o si finisce per agire e pensare contro coscienza, perché è impensabile che ciascuno di noi, “in coscienza”, potendo farlo, avrebbe, nello stato embrionale, dato il consenso allo “sperimentatore” di staccare la spina ovvero di toglierci la vita.
Se a questo si è giunti, è perché si è toccato il fondo morale e giuridico, al di sotto del quale nulla resta se non la morte certa dell’umanità, è solo questione di tempo.
Prevalendo i violenti sarà la violenza e la sua logica ad avere l’ultima parola.
avv. Pier Paolo Carelli
Roma