Scola: la scienza non ceda all’ideologia
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I suoi giudizi, netti e taglienti, hanno già fatto clamore. Come l’estate scorsa, quando il cardinale Angelo Scola affermò che «lo stile di vita dell’Occidente, nei consumi e nei costumi, tende all’osceno». Osceno in senso etimologico, cioè di cattivo augurio per la nostra società. Non ama i giri di parole il patriarca di Venezia, va dritto al cuore del problema. Studioso di etica e di antropologia, già rettore della Pontificia Università Lateranense e preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia, si direbbe la persona più titolata per intervenire nel dibattito sulla fecondazione assistita che in vista del referendum sta diventando sempre più acceso e confuso. Ma il cardinale aborrisce l’etichetta di esperto, «ce ne sono già troppi in giro su questo argomento», dice con un certo fastidio. Parla da pastore e uomo di Chiesa, e prima ancora che gli rivolga la domanda, esordisce così: «A ben vedere la grande assente da questo dibattito è la morale».
Eppure, Eminenza, leggendo i giornali se ne ricava l’impressione opposta: tutti s’appellano alla coscienza, parlano di etica...
Ma la morale, in senso pieno, implica la valorizzazione di tutti gli aspetti della vita umana e non si limita ad una giustizia astratta, come invece succede oggi quando ci si richiama all’etica e alla bioetica. La «morale» mette a fuoco l’ideale di una vita buona compiuta, ad un tempo personale e sociale. Invece nella mentalità corrente la scissione fra queste due dimensioni è diventata così forte che il bene viene identificato con la costruzione teorica di un modello di legalità pubblica che finisce per escludere le istanze profonde, morali, del soggetto.
Scusi Eminenza, cosa c’entra tutto questo con la fecondazione assistita?
Altro che se c’entra! In tutto questo dibattito ciò che viene escluso è proprio il soggetto concreto. Il singolo, «questa donna», «questo uomo». Ed in particolare il più fragile e più debole, vale a dire l’embrione, il concepito nella sua dimensione personale. Benissimo, questa è la dottrina cattolica.
Chi è laico, ha detto uno che va fiero di quest’etichetta come Gad Lerner, ha il diritto di pensarla diversamente, non crede?
Io non sono un biologo e, per quanto ne so, neppure Gad Lerner lo è. Se però uno viene a dirmi che io non sono stato quel singolo ed irripetibile embrione che hanno concepito i miei genitori, ebbene cerchi di dimostrarlo. L’onere della prova è suo, non mio. Qui non è in gioco la dottrina cattolica ma il riconoscimento di un dato che appartiene all’esperienza elementare dell’uomo. Del resto mi pare che tutti i manuali di biologia dicano a chiare lettere che la vita umana comincia dal concepimento. E se uno non lo riconosce? Qualche anno fa, mentre mi trovavo in Germania, ebbi occasione di leggere su «Die Zeit» un lungo articolo di un giovane filosofo, Marc Jongen, che m’impressionò moltissimo. Sosteneva la necessità di farla finita una volta per tutte con la categoria dell’uomo come soggetto personale che ci portiamo dietro da duemila anni. L’uomo è «il suo proprio esperimento», diceva. Potrebbe essere lo slogan dei referendari che, a ben vedere, portano avanti un discorso fondamentalmente anti-ecologico. In che senso? La critica che gli ecologisti sollevano al modo dissennato con cui la società contemporanea si rapporta alla natura è quella di considerare il cosmo alla stregua di un contenitore di materiali da usare. Adesso anche la vita umana è diventata un insieme di elementi materiali che si possono manipolare. Criticare la prima e ammettere la seconda è un’evidente contraddizione.
In effetti un leader dei Verdi come Paolo Cento, intervistato dal nostro giornale, ha ammesso di avere dei dubbi...
Va bene, poi però votano sì al referendum. Eppure dovrebbero ricordare la lezione di Alex Langer, uno dei primi ad intervenire contro la procreazione medicalmente assistita in nome degli ideali ecologisti.
La Chiesa è sotto accusa dopo l’invito rivolto dal cardinale Ruini, presidente dell a Cei, a non andare a votare al prossimo referendum: un espediente elettorale che tradirebbe una mancanza di coraggio dei cattolici nell’affrontare l’avversario a viso aperto...
La cosa più odiosa che può capitare nella vita è di essere ricattato. Chi afferma che siamo antidemocratici perché in questo caso invitiamo a non andare a votare si mette su questa strada. Perché mai io devo essere preso per il bavero, sia pure da 500mila persone, e costretto a pronunciarmi su una materia delicata e complessa con un rozzo sì o no a quattro quesiti che al cittadino medio risultano iper-astrusi e di difficilissima comprensione? Tutto questo corrisponde ad una concezione puramente formale della democrazia. Al contrario la posizione espressa dal presidente della Cei a nome dei vescovi italiani contiene un grande realismo e un altissimo senso di civiltà. La scelta di non andare a votare in questo referendum è un impegno di democrazia sostanziale. Lo dimostra l’azione appassionata e rispettosa di tutti, ma tesa a far comprendere al maggior numero possibile di persone che un tema come quello della fecondazione assistita merita grande attenzione e cautela e non può essere ridotto ad una croce su una scheda.
Dunque l’invito a non recarsi a votare vale per tutti, non solo per i cattolici?
Assolutamente sì. Questo è uno dei casi in cui i cristiani, vivendo sul serio la loro fede nel rispetto delle distinzioni dovute, danno un contributo decisivo all’edificazione della vita buona di una società plurale. Di fatto si difende l’attuale legge sulla procreazione medicalmente assistita che è stata approvata l’anno scorso dal Parlamento... Una legge per molti aspetti assai discutibile, condizionata da una logica anti-umana e anti-ecologica. E tuttavia fornisce un certo quadro ordinato della materia ed apre ad una paziente comprensione del problema. Insomma rappresenta un passo in un dibattito che deve andare avanti.
Cosa direbbe a coloro che hanno deciso di votare no al referendum?
Li inviterei a guardare alla posta in gioco e a non essere ingenui. Tutto fa pensare che andare a votare equivalga in questo caso, e per la logica del referendum abrogativo, a votare sì. L’esatto contrario di ciò che desiderano. Se poi uno è cattolico dovrebbe aver a cuore il confronto con i fratelli nella fede, per formarsi un giudizio che non può non tenere conto delle indicazioni di chi è alla guida della Chiesa.
A questo proposito c’è chi ha rivendicato di essere un credente adulto che decide in autonomia di coscienza...
L’uomo adulto è un uomo libero. Ma la libertà non consiste nell’assenza di legami bensì nel vivere dentro rapporti che danno consistenza e gusto alla vita. Il credente adulto è colui che è appassionato al paragone con l’altro per cercare un giudizio di comunione. I promotori del referendum sono schierati a favore della libertà della ricerca scientifica. È un argomento di grande fascino, non crede? Mi stupisce che molti scienziati, soprattutto se biologi, permettano l’uso strumentale che spesso viene fatto del loro delicato lavoro. Quel che succede oggi con la biologia è già avvenuto negli scorsi decenni con la psicanalisi. Si è affermata una vulgata grossolana per cui i risultati spesso importanti di questa scienza sono diventati degli slogan ideologici. La psicanalisi è stata usata per dire tutto e il contrario di tutto. Lo stesso sta avvenendo ora con la biologia. Eppure se c’è una scienza che più di ogni altra è attenta alla dimensione personale della vita umana fin dal suo concepimento è proprio la biologia. La scienza deve riconoscere i suoi limiti? Posto così il problema è un falso problema. Se è rispettosa dell’oggetto e del metodo il punto non è la scienza, ma chi la pratica e, soprattutto, come la pratica. Al di là della geniale fantasia di Goethe nessun scienziato è Mefistofele, tanto meno Dio. Eppure aleggia un certo spirito faustiano ogni volta che si parla di questi argomenti, non le sembra? Questo succede quando lo scienziato sposa l’ideologia e mette a tacere la domanda che sorge inevitabilmente ogni volta che si china sulla vita umana, quel «E io che sono?» di leopardiana memoria. Tener fermo quell’interrogativo è l’unica garanzia per non cadere nel mito faustiano dell’uomo che si fa esperimento di se stesso.