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L’aborto non era una banale operazione, la Fiv non è una tecnica innocua

Autore:
Agnoli, Francesco
Fonte:
Il Foglio ©



A suo tempo, per aver incalzato con una domanda ovvia, di buon senso, Giovanna Melandri, il buon Antonio Socci ha sostanzialmente perso il suo posto di conduttore televisivo, senza che nessuno dei famosi libertari che pullulano nel nostro paese lo difendesse. Non lo hanno potuto difendere neppure gli embrioni, in nome dei quali Socci ha condotto la sua battaglia di persona coerente e credente.
Un embrione vale tutte le trasmissioni televisive del mondo, e tutta la notorietà possibile, per cui il suo premio, Socci, lo ha già ottenuto.
Ma cosa ha fatto di tanto male? Voleva semplicemente che una donna, di sinistra, ma è un dettaglio, riconoscesse alla vita umana nascente una qualche dignità. Voleva che la Melandri gli dicesse che, nonostante tutto, l’embrione, o il feto, non sono un “prodotto”, ma qualcosa di più. Non ce la fece. Perse la pazienza, con una santa ira, che sarebbe piaciuta al salmista: “Irascimini et nolite peccare”, adiratevi, ma non peccate.

Antonio Socci voleva che si smettesse, dopo 30 anni, con la menzogna dell’embrione o del feto definito come “grumo di cellule”, “parassita”, “clandestino a bordo” o altre amenità analoghe. Così facendo, però, è incorso nel gravissimo peccato di estremismo, per di più cattolico. Perché, come ha scritto Lidia Menapace per un convegno delle donne dell’allora Pds, oggi Ds, espressioni come “diritto alla vita”, “difesa della vita”, “cultura della vita” sono aberrazioni proprie del “movimento integralista” e non andrebbero mai neppure pronunciate (“Il tempo della maternità”, Autori vari, Editori Riuniti, 1993).

Ciò che cresce in grembo ad una donna, infatti, è un figlio solo se la donna lo ritiene tale: “Se una donna desidera un figlio e incorre in un aborto spontaneo, le è morto un figlio. Ma se una donna non vuole proprio un figlio e ricorre all’aborto, ciò che espelle non è un figlio, bensì un prodotto del concepimento” (pag. 183).

Non avrebbe potuto essere così limpida anche la Melandri, parlando chiaro di “prodotti” e di “espulsioni”? Sarebbe stato tra il resto un altro buon segnale della conversione degli ex comunisti alle logiche del mercato.
Ma anche la Menapace, all’apparenza così brutalmente schietta, così sincera, non la racconta tutta. Cosa significa che una donna “espelle”?
Non è forse un tentativo lessicale per annebbiare i concetti, schiarire i contorni? Occorre allora ricordare che buona parte della campagna pro aborto negli anni Settanta fu condotta, di fronte al grande pubblico, in nome dell’aborto sicuro, facile,
senza conseguenze, né fisiche né psicologiche, per la donna: una semplice espulsione”, insomma.
Oppure, come diceva un opuscolo del 1975 intitolato “Aborto: una battaglia di civiltà”, “una operazione qualsiasi, alla stregua di tutte le altre”. La stessa leggerezza che dura tutt’oggi, se è vero, come è vero, che assai di rado i medici espongono alla donna i rischi cui va incontro lei stessa, e che non sempre le fanno presente che avrebbe la possibilità di partorire il figlio e non riconoscerlo.
Eppure già alla fine degli anni Settanta Barbara e Jack Willke, nel loro celebre “Manuale sull’aborto” (edizioni Amicivita), riportavano, inascoltati dai più, un gran numero di testimonianze, prese dalla letteratura medica e dai giornali, di gravi complicanze conseguenti all’aborto procurato: stati infiammatori cronici degli organi genitali femminili, sterilità, aumento degli aborti spontanei e delle nascite premature, emorragie, placente aderenti, irregolarità mestruali, sindromi psichiche.
Oggi finalmente qualche velo si squarcia. Chiara Valentini, giornalista de l’Espresso, favorevole ad aborto e Fiv, ha scritto: “Spesso avevano imparato (le donne, ndr) a usare diligentemente i contraccettivi ma nessuno si era preoccupato di spiegarne gli effetti secondari sulla fertilità, dalle infezioni pelviche che può produrre la spirale, alla difficoltà a concepire che può venire da un uso molto prolungato della pillola. Grande disinteresse anche per quell’altra conseguenza della maggior libertà sessuale che sono le infiammazioni prodotte dalle malattie trasmissibili sessualmente.
Oggi si sa che il 18 per cento delle donne che ne ha sofferto rimane sterile”.
Inoltre, continua la giornalista, aumentano le donne il cui “apparato riproduttivo” è stato “leso dall’aborto”, che le ha rese sterili.
Oggi sta succedendo lo stesso: la Fivet e le altre tecniche sono innocue. Lorsignori vengano, nessun rischio, né per le donne né per i bimbi. Eppure c’è più di uno per cui la Fivet è divenuta, drammaticamente, la “Sfivet”.