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L’embrione è uomo (in atto) - 1

Autore:
Samek Lodovici, Giacomo

Per chiarire gli aspetti etici della fecondazione artificiale, della clonazione umana, degli interventi di selezione embrionale e di sperimentazione sugli embrioni, bisogna preliminarmente dimostrare che l'embrione è uomo.
Come ci insegna la biologia, fin dalla penetrazione dello spermatozoo nell'ovocita (cioè prima ancora della fusione dei due nuclei dei gameti) siamo in presenza di un'entità nuova, l'embrione, che è distinto dalla madre: si comporta biochimicamente in modo diverso dall'ovocita non fertilizzato, inizia un suo metabolismo distinto rispetto a quello della madre, ha il suo DNA. Ebbene, l'embrione inizia subito uno sviluppo autonomo e continuo, che consente infine di esercitare, a meno che non ci siano delle patologie (handicap), le azioni tipiche dell'uomo.
È autonomo nel senso che è proprio l'embrione a costruire se stesso, a guidare il proprio sviluppo e accrescimento, senza aver bisogno di alcun intervento esterno determinante.
È continuo nel senso che è privo di interruzioni e di salti e non c'è mai nessuno stacco particolare che consenta di dire «qui l'embrione diventa uomo». Cambia la quantità della sua materia, cambia la complessità della sua organizzazione, ma l'entità che cresce e che diviene più complessa è sempre la stessa. Del resto, l'evoluzione continua anche dopo la nascita, sia sotto l'aspetto fisico, sia sotto l'aspetto psicologico.
Tra centinaia di studi di biologia dello sviluppo posso limitarmi a riportare solo due citazioni di conferma: Scott F. Gilbert, celebre biologo statunitense, nel suo trattato (Developmental Biology, Sinauer, Sunderland MA 2002, cap. 7), che è il manuale di biologia dello sviluppo più diffuso nelle università degli Stati Uniti e che è tradotto in diverse lingue, spiega che: «con la fertilizzazione inizia un nuovo organismo vivente. C'è un unico continuo processo dalla fertilizzazione allo sviluppo embrionale e fetale, alla crescita postnatale, alla senescenza fino alla morte»; la prestigiosa rivista scientifica British Medical Journal, nel suo editoriale del novembre 2000, ha scritto che «l'individuo umano allo stadio di embrione è l'attivo orchestratore del proprio annidamento e della propria vita».
Alcuni dicono che l'embrione non è realmente autonomo, perché dipende dalla madre. Rispondiamo: il contributo della madre è estrinseco e consiste nella protezione e nel nutrimento, cose che proseguono del resto anche dopo la nascita e per molto tempo. Peraltro, che il contributo della madre allo sviluppo sia estrinseco, lo dimostra proprio la fecondazione artificiale, che attesta che lo zigote può essere concepito e può inizialmente svilupparsi da solo anche senza sua madre: è l'embrione che guida il proprio sviluppo, non sua madre.
Per capire questo punto possiamo confrontare lo sviluppo embrionale con la costruzione di una casa: qui è necessario qualcuno che aggiunge dall'esterno un mattone dopo l'altro; invece l'embrione stesso costituisce e organizza i suoi "mattoni" da solo.
Perciò l'embrione è anche diverso dall'ovulo femminile prima della fecondazione: i mattoni possono aspettare millenni senza diventare casa e l'ovulo può attendere tutta la sua breve vita senza svilupparsi; l'embrione, al contrario, se non viene ostacolato, si sviluppa da solo ad una velocità vertiginosa.
Altri, ancora, dicono che lo sviluppo non è veramente continuo e fissano uno stacco nel momento della fusione dei due nuclei dei gameti all'interno della cellula embrionale (prima di cui parlano di ootide), o nella formazione della stria primitiva dell'embrione, o al momento dell'impianto dell'embrione nell'utero. Ma questo discorso non regge, perché tutti questi momenti sono guidati dall'embrione stesso, sono già programmati fin dall'inizio.
Altri, infine, dicono che fino al 14 o giorno l'embrione ha la capacità di diventare due o più embrioni (gemellanza) e perciò non è ancora un individuo. Ma anche in questo caso si sbagliano, perché nel processo della gemellanza un individuo vivente genera un altro individuo vivente, quindi fin da subito c'è un individuo a cui se ne aggiunge in seguito un altro.
Si può svolgere lo stesso discorso in altri termini, retrocedendo a ritroso dal momento della propria vita che ciascuno di noi sta vivendo. Se osservo le mie fotografie di qualche anno fa mi riconosco: sono sempre io. Eppure la materia che mi costituisce è completamente cambiata ogni 7 anni della mia vita. Sono sempre io anche nelle fotografie anteriori o anche nella foto di quando ero appena nato. Sono sempre io due giorni prima del parto, o un mese, o due mesi, o sei mesi prima. E se dispongo di un'ecografia posso dire che sono sempre io quello che aveva sei settimane di vita. E se avessi un'ecografia del momento del mio concepimento potrei di nuovo dire che sono io quello che, per le sue dimensioni, poteva stare sulla capocchia di uno spillo. Insomma ciascuno di noi è stato embrione e non c'è mai stato nessuno stacco nella nostra evoluzione dal concepimento in poi, non c'è mai stato alcun momento fino a cui sia stato lecito ucciderci.
Del resto, anche se non avessimo dissipato il dubbio sulla continuità del nostro sviluppo, ammesso e non concesso che non avessimo respinto le argomentazioni di coloro che stabiliscono dei salti nello sviluppo, resterebbe pur sempre valido il principio di precauzione: se abbiamo il minimo dubbio che prima di un certo momento l'embrione non sia ancora uomo non possiamo ucciderlo, perché non possiamo correre il rischio di uccidere un uomo: se andando a caccia vedo un cespuglio che si muove, non devo sparare fino a che non so con sicurezza che dietro al cespuglio c'è una lepre e non un uomo.
I bioeticisti che difendono l'aborto e l'eutanasia sostengono talvolta un'equazione, un'identità tra la persona e il suo esercizio in atto di certe attività: secondo loro un essere umano è persona solo quando compie attualmente certe operazioni, ad esempio quelle razionali. In tal modo, essi operano una distinzione tra essere umano e persona, cioè sostengono che l'essere umano diventa gradualmente persona (e lo è pienamente solo quando esplica pienamente attività razionali) e cessa gradualmente di esserlo (quando perde lucidità intellettuale, quando è in coma, ecc.). Partendo da queste premesse, essi deducono che l'embrione e il malato terminale non sono persone, in quanto non esplicano attività razionali. Coerentemente a questa logica, per un bioeticista molto famoso come H.T. Engelhardt anche l'infanticidio è lecito, perché i neonati o i bambini piccoli non esercitano tali attività.
Bisogna però ribattere che, se fosse persona solo chi esercita attualmente operazioni razionali, allora non soltanto sarebbe lecito uccidere i bambini, ma bisognerebbe dire che anche un dormiente o un uomo sotto anestesia non sono persone, giacché non esplicano tali attività, e dunque diventerebbe legittimo sopprimere anche loro e non soltanto gli embrioni, i malati terminali e i bambini.
Insomma, l'uomo è persona anche quando non compie le sue azioni peculiari, dunque l'embrione è uomo in atto fin dal concepimento ed è in potenza solo rispetto al compimento di alcune attività.
Se l'embrione è persona come ognuno di noi, se l'unica differenza tra noi e l'embrione consiste nel fatto che noi esercitiamo in atto le attività razionali, mentre l'embrione no, allora vuol dire che l'embrione merita la stessa e identica tutela che si deve riservare a ciascuno di noi, il che significa anzitutto che la soppressione di un embrione, cioè l'aborto, equivale ad un omicidio. Infatti se l'embrione è persona, egli ha come ogni uomo una dignità incomparabile, un pregio inestimabile, un valore elevatissimo.